martedì 25 febbraio 2014

LA MIA MEGLIO GIOVENTU'...MUSICA E VINO...DUE STRADE, TANTI INCROCI, UNA SOLA PASSIONE


Il primo amore non si scorda mai e allora se la memoria non mi gioca brutti scherzi, devo tornare a quando avevo 12 anni, vergognosamente davanti allo specchio con il "battipanni" in versione finta chitarra elettrica, mentre canto Welcome to the Jungle in playback. Ascoltavo ovviamente musica anche prima, ma il 1988 é stato per me e per molti miei compagni di avventure una specie di "anno zero", in quanto riscatto (soprattutto culturale) di una generazione uscita spompata dalla devastante epopea dei paninari e del Festivalbar. 

A quei tempi tra i rockettari era tutto uno scambio febbrile di Basf 90 con Appetite for Destruction sul lato A e New Jersey dei Bon Jovi su quello B. Walkman con cuffie in spugna e penna Bic "riavvolginastro", nello zaino non dovevano mai mancare. A guardare la mia parete di cd, qualche album di quel periodo lo conservo ancora (il grosso é su nastro) e devo amettere che a tenerli tra le mani, mi domando come ho fatto ha comprare cd del genere e penso che culturalmente non ero messo molto bene negli anni 80, ma mi sono evoluto... il problema sarebbe avere ancora gli stessi gusti di 30 anni fa!. Era un periodo di band americane hard rock tutto sesso-droga-r'n'r, canzoni che cantavo davanti allo specchio e ballavo durante i festini nei garage... Poison, Motley Crue, Cinderella, Skid Row e chi più ne ha più ne metta... Poca sostanza ma tanta scena, fuochi artificiali sul palco con annessi deliri femminili sotto... (potevi vedere anche delle tette a quei concerti...) tutto doveva essere eccessivo e molto party!! Questa era la musica che ha avviato la mia passione per il rock e le sue derive future. 

Anche la passione per il vino sembra essersi mossa di pari passo... dopo anni di imbottigliamenti casalinghi nella cantina del babbo, l'adolescenza mi inizia al vino in sporadiche occasioni speciali, riassumibile in acquisti al market del paese senza alcuna cognizione di causa!. Il vino serviva solo quando invitavo a pranzo o cena le prime amiche del cuore, mi serviva qualcosa per spezzare l'imbarazzo e riuscire a limonare duro prima che rientrassero i miei. Il vino era un gesto di classe, da adulti, da persone mature... credo piacesse alle ragazzine... anche se in verità non si sapeva quale atrocità stessimo bevendo... interessava solo il fattore alcolico. Insomma vini che avevano lo scopo di creare l'effetto inebriante e attivare il party... ovviamente stereo portatile con contagiri per la Basf 90, con il meglio dell' harderrokkeammericano che c'era in circolazione... 

Vino e musica due passioni che mi hanno sempre attraversato e che ho sempre avuto il piacere di attraversare, cercando nel mio piccolo di esserne partecipe e parte attiva. Due strade che per quanto mi riguarda sono più figlie di scelte culturali ben delineate e stile di vita, che non semplice gusto estetico o apprezzamento ingannatempo fine a se stesso... per questo vino e musica sono strade parallele che si accompagnano, che si incrociano, si stuzzicano e che rivendico con orgoglio, essere parte integrante della mia formazione culturale e personale. Non sarei ciò che sono senza di loro!

Tornando alla storia di queste due strade, alla mia storia... quando si é ragazzi e si ha un sacco di vibra in corpo, si tende sempre ad estremizzare, ad eccedere, a voler alzare il livello.  E' così che le street band e il glam rock patinato si é accartocciato su stesso e ho iniziato a volere musica più dura, più veloce, più bastarda... l'hard rock teneva botta ma si induriva con i riff più taglienti e ritmati di Angus Young... ci si spaccava le osse ogni volta che in Fossa (mitica saletta metal di una discoteca del varesotto che si frequentava la domenica pomeriggio) partiva il primo accordo di Kill Em'All dei Metallica. Non mancavano le super band, come i sempreverdi Iron Maiden, i Megadeth o Ozzy, che ci "gasava" sgagnando pippistrelli; ma erano anche anni di ripasso delle origini... i settanta dei Black Sabbath, i Led Zeppelin e il mito dei pezzi da ascoltare all'incontrario, dei trentattre giri gracchianti dei Deep Purple ereditati dai genitori. 

Anni di musica dura... si iniziava a virare sul punk, dai Ramones del 76, all'hardcore degli anni 80.... gli Stooges fino all'innascoltabile metal ingessato dei Manowar, che stabilivano il record mondiale di decibel con un muro di Marshall alto non so quanti metri. 

Anche i vini erano più incazzati, più robusti, più alcolici... più ingrassati e più legnosi... al posto dei Marshall si usano le barriques francesi... si usciva dalla diaspora del vino al metanolo come io ero uscito dall'epopea paninara e l'attenzione del pubblico e degli eno appassionati era puntata sulle grandi bottiglie che finivano in "aia", che si diceva fossero vini super. Anche uno sprovveduto come me sentiva parlare di Sassicaia come del miglior vino al mondo... e di pari passo l'interesse per il mondo enoico iniziava a crescere... iniziavo anch'io ad acquistare bottiglie con maggior frequenza e attenzione, il market del centro é diventato un supermarket, ora la scelta é più ampia ed inizio ad amare vini più metal... 

Innalzato il budget con i primi lavoretti estivi, potevo investire qualche soldo in più... e l'acquisto si é tradotto in tante mediocre bottiglie da supermercato delle più conosciute cantine e quando bevevi un merlot barricato iperconcentrato e iperzuccherato, ti sembrava di aver azzeccato la miglior bottiglia della tua vita. Scrutavi per minuti e minuti tutte quelle bottiglie in fila sullo scaffale e non vedevi l'ora di provare i grandi vini dei famosi marchesi toscani. Non c'era ancora una vera e propria presa di coscienza.. ma si iniziava ad incamerare nozioni a stuzzicare il palato...

Succede poi che una mattina passano Smells Like Teen Spirit alla radio e ci rimani di sasso... ti piomba addosso un secondo anno zero e da quel momento nulla sarà più come prima. Non capivo bene cos'era quel pezzo.. mi sembrava una cosa pop con delle chitarre dal suono strano e dalla voce dissonante... quasi un pezzo di rock liquido, non mi era piaciuto subito, ma mi aveva terribilmente conquistato, mi aveva incasinato la bussola, disgregato certezze, spostato il mio punto di vista. Non sapevo ancora bene cos'era... ma dentro di me sapevo che da quel momento non si poteva più tornare indietro. Da li in poi é stato un viaggio di contaminazioni, di scoperte, di esperienze, di gioie e di dolori... dai grandi gruppi visti nascere e diventare grandi ad altri grandissimi che sono durati poco, fino a quelli che mi hanno cambiato per sempre con una fiammata. Da allora non sarà più solo rock.. sarà una babilonia di generi che entrano ed escono, incidendo una traccia indelebile nel vinile della mia vita... Anni post adolescenziali, anni di grandi aspettative e anche grandi delusioni, anni di contrasti e di incazzature, anni di interesse culturale e politico... gli anni in cui si iniziava a macinare asfalto per andare ai concerti e passare serate a discutere  di feste e festival da organizzare.

L'incazzatura di una band, il suo impatto sonoro aveva il suo peso specifico e allora le chitarre e le melodie non erano più così importanti... anzi... se sentivo ancora un pezzo con un assolo di chitarra più lungo di trenta secondi mi annoiava perché il pezzo perdeva la "botta"... Il grunge tutto... dentro nelle vene fino all'ultima goccia... ma anche Public Enemy, Rage Against The Machine, Faith No More, i Red Hot di Blood Sugar Baby..., il rap che si incazza e si mischia con il metal, i Korn che ribassano le accordature per essere più oscuri, fino alla scoperta dell'elettronica con le derive raver del dopo Trainspotting e le freakettonate reagge-ska alla Mano Negra.

Nuovo anno zero anche nello scegliere bottiglie... ho iniziato a leggere attentamente le etichette e a crearmi una memoria storia, a istruirmi con qualche libro, le prime guide da sfogliare e la voglia di voler assaggiare di tutto cercando di spaziare tra le varie denominazioni... come una spugna secca... Poi succede che un giorno del 2004 (o 2005 non ricordo) ti spari Mondovino ed iniziano a crearsi delle crepe tra le tue convinzioni in campo enologico... capisci che c'è molto da imparare e da scoprire, che non puoi fermarti solo alle etichette e alle bottiglie, hai bisogno di conoscere tutto quello che ci sta dietro, i volti e i territori... che forse le guide "istituzionali" non sono così affidabili e che il vino come la musica, ha una sua deriva "alternativ" maggiormente mi si addice. 

Allora partecipo al Critical Wine, inizialmente non tanto per i vini ma perché in quei tempi si frequentavano le iniziative dei centri sociali... e allora quasi per consenso politico, si andava anche alla fiera dei vignaioli critici... Ho assaggiato quei vini... così diversi, così emozionali, così artigianali e sconosciuti... li bevevo e mi emozionavo... Alcuni non mi piacevano, troppo estremi, così come non mi piacevano alcuni album al primo ascolto... troppo strani per entrarci subito in sintonia, per coglierne la loro grandezza. Viceversa quando un pezzo ti piace al primo ascolto spesso é perché suona commerciale, costruito su misura per le radio e finirà per stufarti dopo pochi giorni... esattamente come certi vini ti stufano dopo tre sorsi....  Non sapevo ancora bene cos'era... ma dentro di me sapevo che da quel momento non si poteva più tornare indietro. Da li in poi é stato un viaggio di contaminazioni, di scoperte, di esperienze, di gioie e di dolori... di grandi vini che mi hanno emozionato e altri "difettosi" che mi son pentito di aver comprato. Una babilonia di gusti, colori, abitudini, etichette, di certezze scalfite... un'altro mondo del vino era possibile, come nella musica c'era una scelta alternativa anche nel vino, che mi apparteneva e sentivo mia, allora come oggi.

Anche i vignaioli sono incazzati e resistenti, anche la scelta "agricola" giustamente interpretata sa essere dissidente. I bianchi diventano "orange", le DOC non contano più niente, il vino é vero, naturale, artigianale, garagista, espressivo... ha cose da dirci e storie da raccontarci... proprio come le canzoni di quei gruppi...  vino rustico e pulsante che mi piace bere mentre ascolto Conflitto degli Assalti. Passioni che si incontrano mentre poghi ai concerti degli Snapcase o mentre parli di vino alla Terra Trema, mentre vai alla ricerca di 13 Songs dei Fugazi, introvabile nei negozi di dischi o delle "chicche" da 500 bottiglie l'anno che hai sentito decantare, e che non trovi in nessuna enoteca... 

Ad oggi... beh... i capelli si stanno assai ingrigendo.. sono più vicino ai 40 di quanto mi immagini e anche alcune esigenze cambiano... c'è la casa e la famiglia, il lavoro da mantenere e il mutuo da pagare, il tempo libero mi scappa dalle mani e ho più voglia di intimità... di momenti di sana e quotidiana felicità... di snobbare gli aperitivi del week end, perché preferisco starmene a casa con il grembiule e prepare il miglior brasato della mia vita mentre mi scolo una bottiglia di Pecoranera... le passioni si sviluppano e cercano sempre nuova linfa vitale, ma fondamentalmente rimangono sempre fedeli a se stesse, perché sono spina dorsale del mio essere... così il suono si fa meno incazzato... le chitarre possono anche essere acustiche, la break beats può farsi eleganza nel trip hop, i testi gridati diventano sussurrati e mi coinvolge il patos "indie" di certi gruppi che sanno graffiare ma ti sanno anche coccolare. 

Musica che si asciuga e si sgrassa, non servono più tutti quei Marshall... mi basta l'elettricità folkeggiante dei Dinosaur Jr., mi perdo nei suoni rarefatti dei Sigur Ros, tengo il tempo con i ritmi lenti e sottodopa di Tricky. Mi ritrovo nei vecchi dischi dei Joy Division e in quelli più nuovi degli Interpol e mi diverto ai concerti degli Arcade Fire. E anche il vino sembra averne abbastanza di grassezze... si scarnifica, si scolora, si alleggerisce... vini più bevibili e non troppo impegnativi, é l'era della velocità, del tutto é subito, dell'impazienza metropolitana, roba per vini giovani da bere subito, qualche mese di acciaio e via in commercio, che c'è da combattere le crisi... vini in sottrazione, esili, dinamici.

Nei prossimi anni chissà cosa mi aspetterà... al momento ho un bel bagaglio di esperienze... ascolto roba nuova e vecchia, purché riesca ad emozionarmi... sono questi i capolavori che rimangono e scalfiscono il tempo... le canzoni che più invecchiano (ed invecchio) più le sento mie... così come rimangono i vini "veri", quelli il cui valore non si discute e più invecchiano (ed invecchio) più le sento miei... Rinaldi, Bartolo Mascarello, Montevertine, Valentini, Quintarelli... e molti altri... loro rimangono e mi entusiasmano, scalfiscono il tempo come un vecchio scricchiolante 33 giri degli Smith...

Ho attraversato e amato quasi tutti i generi musicali e assaggiato un po' di vini... credo di aver raggiunto una buona consapevolezza, quella che mi permette ora di andare oltre ai gusti del momento o delle mode, che mi permette di essere un eno-appassionato consapevole di quello che mi piace bere e di cui voglio essere testimone, attraverso questo piccolo indie blog, che mi permette di essere parte attiva e non solo passiva... Musica e vino compagni e maestri di vita che spesso fanno tutt'uno... perché le passioni viaggiano sempre di pari passo... entrambe mosse più che dal piacere del gusto o del suono, dall'esigenza di esprimersi attraverso delle scelte... comprando quella rivista o quella guida, andando ad alcuni concerti o a certe fiere mercato, acquistando questa bottiglia o quel cd, scegliere il prossimo pezzo da mettere durante un dj set o quale boccia stappare con il coniglio alla ligure... sono scelte che ci rappresentano ed esprimono il nostro modo di essere...

"... il buon senso la logica i fatti le opinioni le raccomandazioni
occorre essere attenti per essere padroni di se stessi...
la mia piccola parte dietro la Linea Gotica..."
Linea Gotica (Consorzio Suonatori Indipendenti)

giovedì 20 febbraio 2014

BARBARESCO 2007 - D.O.C.G. - Produttori del Barbaresco

Barbaresco e il Barbaresco non sarebbero quello che sono oggi senza i Produttori... nessuno riesce a racchiudere ed esprimere la storia di questo vino e del suo territorio come loro. Basta uno sguardo alla sua bellissima etichetta "vintage",  per capire che questo é il Barbaresco definitivo... 


Ho trovato la quadra, la bottiglia definitiva, non la migliore della mia vita in senso assoluto, ci mancherebbe, ma quella che può mettere tutti d'accordo, me compreso, senza alcuna possibilità di discussione. I Produttori del Barbaresco sembrano scalfire il tempo, un marchio di fabbrica, una garanzia, un'isola felice per ogni eno-invasato... più passa il tempo e più assume valore ed importanza il ruolo di questa cantina "mitica", e non mi riferisco solo alla costante qualità dei vini proposti.

Barbaresco e il Barbaresco non sarebbero quello che sono oggi senza i Produttori. Tra tante blasonate bottiglie e tanti bravi vignaioli che lavorano i pregiati filari di queste terre, nessuno riesce a racchiudere ed esprimere la storia di questo vino e del suo territorio come una bottiglia di Barbaresco dei Produttori. Basta uno sguardo alla sua etichetta "vintage", (una delle più belle in circolazione secondo me), per capire che questo é il Barbaresco definitivo... uno stile apparentemente old style, che racchiude l'essenza classica di questo vino, di questo borgo e di tutte quelle persone che lavorano per portare sulle nostre tavole questa eccellenza del made in Italy. Se vuoi conoscere Barbaresco e i suoi vini, devi partire dalla torre medioevale in centro paese, dove tutto ebbe inizio, scolarti una bottiglia di Barbaresco e ammirare quell'anfiteatro di vigne che si apre sotto i tuoi piedi.

Sono molteplici le questioni che mi spingono a sostenere e onorare questa bottiglia, per affermare che il sottoscritto nutre profondo rispetto per questa storica realtà vitivinicola di Langa. Lo so cari appassionati che vi state scaldando... che "dissentite" da queste mie affermazioni, già vi sento tirar fuori decine e decine di nomi di produttori e vini langaroli che ritenete "migliori", e che snobbate la "mediocrità" di questo Barbaresco per voi dozzinale merce da supermercato... siamo un paese di "allenatori" e ognuno ha i suoi preferiti... penso anch'io che un Asili di Giacosa o un Pajè di Roagna (giusto per fare un paio di nomi) sverniciano tutte le bottiglie dei Produttori messe insieme, ma non é questo il punto... ho sempre pensato che non ha senso giudicare un vino solo organoletticamente... altrimenti (giusto per fare un esempio) non avrei inserito il Chianti di Pacina tra i migliori stappati del 2013, rustica bottiglia da 10 euro che per molti sommelier può valere quanto un due di picche nella briscola, ma no per me, visto che questo vino ha molte cosa di dire...

Sarà il vino a farmi parlare (o il mio lato eretico), ma non c'è niente di più bello che arrivare in un paese in cui si vive di vino.... parcheggiare in centro e vedere un via vai di auto e persone del posto che non stanno entrando in chiesa, ma in una bella cantina sociale. Non serve appuntamento, suonare il campanello e sentirsi in soggezione, qui si va a comprare il vino come si va al mercato a fare la spesa. Qualcuno può obbiettare che le cantine sociali sono spesso i luoghi dove si fa scorta di vino in dame da 5 litri, bag in box o cartoni da 6, basso costo e scarsa qualità. Vero, ma le cantine sociali non sono più quelle di una volta, la qualità con pochi euro in più la puoi trovare anche qui e soprattutto rivestono un ruolo importante nel creare un contatto diretto tra i conferitori e consumatori, un ruolo anche sociale, un vino per tutti che si smarca dalle lussuose enoteche di città e si riprende il suo posto al centro della tavola ogni santissimo giorno.

I Produttori del Barbaresco hanno trovato la quadra e il loro Barbaresco classico ne é diventato il vino simbolo. Prendete una delle molteplici cooperative sociale disseminate sul territorio italiano ed immergetela in una delle aree a più alta vocazione vitivinicola che abbiamo in Italia... un mix che gestito con intelligenza può dare risultati importanti, come vini di qualità alla portata di tutti, qualità applicata al consumo massivo ok, poco importa se di questo Barbaresco base ne sono state prodotte 280.000 bottiglie e le potete acquistare anche al supermercato... dietro c'è la valorizzazione di un intero territorio, inserendosi nel suo tessuto sociale e nella sua storia, il che significa fare cultura e dare lavoro...

La storia ci porta indietro nel tempo, fino al 1894, anno di nascita del Barbaresco, quando Domizio Cavazza, creò le "Cantine Sociali di Barbaresco" per la "produzione di vini di lusso e da pasto" (e già questa definizione la dice lunga), riunendo attorno a sé nove tra agricoltori e produttori, che iniziarono a vinificare e denominare il vino con il nome del paese stesso. Chiusa in epoca fascista, bisognerà attendere il 1958, quando l'allora parroco di Barbaresco, Don Fiorino, rifacendosi a quella tradizione, riunì diciannove agricoltori e fondò la "Produttori del Barbaresco", che oggi può vantare numeri importanti grazie ad oltre 50 soci conferitori e 500.000 bottiglie prodotte. Aldo Vacca é il grande capo di questa cooperativa, che propone un Barbaresco base di buona qualità, oltre a valorizzare gli appezzamenti migliori attraverso la produzione di ben nove cru. C'è quindi la giusta attenzione e complicità tra i soci, che conferiscono tutte le loro uve alla cantina sociale, che stabilisce regole precise anche in merito ai prodotti da utilizzare per i trattamenti in vigna.

Oggi ho così stappato il loro Barbaresco Classico annata 2007.... e vi dico subito che é una di quelle bottiglie da non perdere se vi capita sotto mano. Per prima cosa sappiate che i Produttori oltre alla base producono anche la versione riserva, ma solo quando le uve ad essa destinate sono ritenute idonee. Ben venga quindi che nel 2007 la riserva non sia stata prodotta, così le uve di qualità superiore sono andate a formare la versione base, regalandoci così un vino qualitativamente eccellente, per un prezzo decisamente onesto che si aggira sulle 20 euro. Per produrre questo vino si utilizzano uve Nebbiolo al 100%, fermentazione in acciaio a 30° e 28 giorni sulle bucce con rimontaggi giornalieri. L'affinamento di 24 mesi avviene esclusivamente in botti grandi di rovere. Annata definita dagli stessi Produttori "quasi" perfetta.

Rosso granato vivo, con unghia che tende all’aranciato, pulito e piuttosto snello, avvolge l’interno del bicchiere con una sottile pellicola trasparente a causa della sua alta componente alcolica (14.5%vol). Molto bello da vedere… nebbioleggia con eleganza. Naso piuttosto potente e affilato, quasi esplosivo, inizialmente (nonostante la boccia aperta da quasi 2 ore) la componente alcolica sovrasta  un bouquet semplice ma assai piacevole, composto da piccoli frutti rossi sotto spirito, spezie piccanti e accenni di rosa e violette. Didascalico e senza grandi sfaccettature, non è uno di quei vini dove devi picchiare il naso dentro il bicchiere in continuazione per cercare di definire quel profumo particolare o immergerti nella sua complessità… questo è Barbaresco tradizionale e questi sono i profumi che ti aspetti da un Nebbiolo da Barbaresco classico.. é l'A-B-C, un cavallo su cui scommettere a colpo sicuro.. perché già sai che non ti deluderà. Struttura e persistenza non gli mancano, anche se non lunghissimo, piacevole e appagante con trama tannica importante ma mai aggressiva, ben bilanciata da una venatura acida che rinfresca e snellisce il sorso. Se il Barbaresco rappresenta il lato femminile del Nebbiolo (almeno rispetto al più masculo Barolo)... questa bottiglia ne é la conferma.

Ecco perché ho definito questa bottiglia "definitiva", é un pezzo di storia, é l'espressione più classica e popolare del Barbaresco, é prodotto con le uve dei suoi contadini, ne rappresenta il territorio, ed é forse il vino con il miglior rapporto qualità/prezzo che ci sia in commercio. Un otimo vino di cui tutti possono godere.. un bel lusso di questi tempi... e per questo condivido il meritato titolo di "vino slow" conferito da Slow Wine per questa annata. Se siete bevitori da GDO non fatevelo scappare, decisamente il miglior Barbaresco che potete trovare insieme a quel Sori Burdin di Fontanabianca che ultimamente si aggira tra gli scaffali per una cifra simile (ma in questo caso parliamo di un vino più austero e figlio di affinamento in barriques, quindi meno tradizionalista, anche se molto interessante)... non fatevi ingannare dai bassi prezzi... molte altre versioni da 12-13 euro non hanno nulla da dire... fate uno sforzo... aggiungeteci qualche monetina e portatevi a casa questa versione dei Produttori... Non sono poi molte le grandi cantine che possono usare il termine "coerenza" come i Produttori di Barbaresco!!

P.S. A proposito di ottimi Barbaresco dal rapporto qualità/prezzo più che convincente, sulle stesse cifre o pochi euri in più, consiglio per chi non l'avesse mai provata la versione di Rizzi.

giovedì 13 febbraio 2014

COLLE GRIMALDESCO 2006 - Sagrantino di Montefalco D.O.C.G. - Tabarrini Giampaolo

1980... un’ Inghilterra sconvolta dal punk, declinava nella new wave e il post-punk a tinte dark. Quell'anno uscivano A Forest dei The Cure e Love Will Tear Us Apart dei Joy Division... pezzi che ancora oggi “suonano” e affasciano... Come il Colle Grimaldesco sono perle immortali dalle scure atmosfere, che sembrano scalfire il tempo.



Ad un paio di mesi da quel Margò Rosso di Carlo Tabarrini, torno su uno stappato umbro, spostandomi virtualmente un po' più a sud, nel centro geografico della regione, dove trovo un altro Tabarrini... Giampaolo in questo caso, eclettico produttore di Montefalco, nel cuore della più importante denominzaione umbra, quel Sagrantino, che aspira ad entrare nella cerchia dei grandi rossi italiani, ma che fatica ancora a trovare un'identità precisa. 

Ad inizio millennio c'era grande fermento per l'esplosione del fenomeno (anche internazionale) Sagrantino, che ha visto crescere nel piccolo comune di Montefalco numerose aziende vitivinicole, molte delle quali troppo concentrate sul lavoro di cantina e l'appeal commerciale, anziché cercare di capire come sfruttare al meglio il potenziale di quest'uva. In questo panorama si sono sicuramente distinte le cantine storiche e quei produttori che hanno saputo valorizzare soprattutto il vitigno, cercando di eccellere con vini di grande longevità e capacità evolutiva, piuttosto che sull'impatto e la potenza estrattiva, e tra questi c'è sicuramente Giampaolo Tabarrini (oltre ovviamente a Paolo Bea, che mi piace assai).

In frazione Turrita sorge la cantina, arrivata oggi con Giampaolo alla quarta generazione di vignaioli ed é proprio con il suo arrivo negli anni '90, che si inizia ad imbottigliare, ad investire nella costruzione della nuova cantina e a valorizzare i vigneti... l'esperienza di quattro generazioni proiettata nel futuro, per proporre vini fortemente legati al territorio e alle tradizioni. La cura maniacale dei vigneti, l'attenzione riposta in tutte le fasi lavorative, consentono oggi di identificare in Tabarrini, una delle più interessanti realtà vitivinicole umbre. Detto così sembra solo una questione di tecnica e applicazione, suona quasi freddo, in realtà la marcia in più dei vini di Giampaolo, é quel tocco di artigianalità che solo chi ha sempre lavorato la terra e vissuto in vigna con gioia, entusiasmo e passione, riesce a trasmettere. 

I vigneti sono suddivise in diversi appezzamenti che consentono la produzione di differenti tipologie di vini. Dal bianco Adarmando, ricavato da una vecchia vigna di Trebbiano spoletino, al rosè e il "blend" rosso, ma soprattutto il Montefalco Rosso D.O.C. e il Sagrantino D.O.C.G., prodotto in ben tre versioni. L'idea di Giampaolo é stata proprio quella di valorizzare ogni singolo appezzamento, realizzando tre cru figli di tre vigne differenti. Colle Grimaldesco, Campo alla Cerqua e Colle alle Macchie. Aggiungiamoci il passito di Sagrantino e arriviamo ad una produzione annua che si avvicina alle 100.000 bottiglie, molte delle quali destinate ai mercati esteri.

Il vino che ho stappato oggi é il Sagrantino Colle Grimaldesco 2006, ovviamente uve Sagrantino in purezza, provenienti dall'omonimo vigneto esposto a sud-est su terreno argillo-limoso con presenza di ciotoli di fiume. Rese contenute sui 40-45 ql/ha, macerazione sulle bucce per oltre un mese e 30 mesi di affinamento in legno, barrique e botte grande, prima di concludere con 6 mesi in bottiglia.

Rosso rubino intenso e cupo con sfumature granata, già alla vista complesso, così come al naso, fitto, intenso, ricco e persistente, caldo, vinoso e pungente, con sentore alcolico (15%vol) in evidenza, prima di rilevare la sua trama scura... more selvatiche, caffè tostato, grafite, terra, accenni di liquirizia, spezie pungenti e suggestioni minerali. Ingresso potente con astringenza iniziale, tannino vigoroso e piacevole sensazione materica, grande struttura, ottima persistenza, tensione gustativa senza accenni di resa e finale da concerto noise*, con richiamo delle sensazioni olfattive. Vinone austero e di grande complessità, energico, potente, quasi monumentale, espressione “classica” di un Sagrantino che non scende a patti con il diavolo.

Ho stappato questa bottiglia dopo che é rimasta in cantina per tre anni e con il senno di poi, devo ammettere di essere stato impaziente, perché questo 2006, a quasi 8 anni dalle vendemmia, mi é sembrato ancora in divenire, con un tannino vigoroso e con ottime potenzialità espressive, non perfettamente bilanciate, ma che lasciano presagire la possibilità di godere di un vino più equilibrato ed elegante. Mi son fatto l'idea che dieci anni siano il tempo minimo di attesa, sempre se riuscirete a resistere alla tentazione. Bisogna saperlo aspettare e coglierlo nel momento giusto. Il Sagrantino é spesso descritto come un vino dal carattere austero, tannico, potente, longevo e complesso, tutti aggettivi che calzano a pennello per il Colle Grimaldesco, che conseguentemente mi sento di definire vino di grande espressività territoriale. Insomma se andate cercando un Sagrantino tipico, soprattutto se siete alla prima esperienza, questa é la giusta bottiglia da acquistare. Se non vi fidate del sottoscritto e siete tra quelli che entrano in enoteca con la guida del Gambero sotto-braccio, vi dico anche che questo 2006 ha preso i famigerati tre bicchieri. Quindi non avete scuse!

Sicuramente non é una bottiglia di facile approccio, soprattutto oggi che il mercato sembra orientato verso vini di pronta beva, leggeri e sgrassanti. Per gli altri temerari che osano sfidare il tannino del Sagrantino, consiglio un abbinamento datato 1980, quando un’ Inghilterra sconvolta dal punk, declinava nella new wave e il post-punk a tinte dark. Quell'anno uscivano A Forest dei The Cure e Love Will Tear Us Apart dei Joy Division (successivamente coverizzato dagli stessi Cure), pezzi che ancora oggi affascinano e mi diverto suonarli duranti i dj set.. Come il Colle Grimaldesco sono perle immortali dalle scure atmosfere che sembrano scalfire il tempo.

In enoteca per il 2006 siamo sulle 25 euro, in linea con i prezzi della categoria. Gran bel vino, ad oggi il Sagrantino più convincente...


* Per chi non lo sapesse i finali dei concerti noise (sia in analogico che in digitale) sono quasi sempre contrassegnati da decine di minuti di saturazione sonora, tra chitarre in feedback e campionatori in loop ipnotici… un lungo e lento suono perforante che sembra non finire mai e lascia una “esaltante” sensazione di stordimento.

domenica 9 febbraio 2014

PALAZZOTTO CABERNET SAUVIGNON 2007 - Breganze D.O.C. - Maculan

Per la serie vini buoni di grandi cantine... il Palazzotto di Maculan non perde un colpo...


Il pranzo della domenica in famiglia si trasforma in post, non tanto per raccontarvi la preparazione dei pici al ragù di coniglio (piatto che mi ha dato soddisfazioni e se questo fosse un blog di cucina vi avrei svelato la ricetta...), ma per scrivere del "Palazzotto" portato da Vera ed Andrea, che senza indugi abbiamo stappato e tracannato. 

Il vino in questione è prodotto da Maculan, storica cantina di Breganze, ed è la terza volta che mi ritrovo a postare un loro vino, dopo il Cabernet (un ottimo vino quotidiano) e ovviamente il Torcolato, il vitigno simbolo di queste zone. Per chi non lo sapesse Breganze si trovo a nord di Vicenza, sulle prime colline che si incontrano in direzione Altopiano di Asiago. Non mi dilungo più di tanto sull'importanza del ruolo che la famiglia Maculan ha avuto su questo territorio e che tutt'ora riveste anche a livello nazionale (ma é nome conosciuto anche all'estero), in virtù di una selezione di vini di indiscusso valore, che trova (a mio modesto parere) il suo apice nell'interessantissima gamma di vini "da meditazione". Vi rimando quindi ai precedenti post, se andate cercando informazioni su Maculan, che rimane una delle più interessanti realtà tra i grandi produttori, con ottimo rapporto tra qualità, quantità e prezzi di vendita, con bottiglie interessanti rimediabili anche presso la G.D.O. 

Vado direttamente allo stappato… allora… Palazzotto 2007, ovvero Cabernet Sauvignon in purezza, con fermentazioni in acciaio (8 giorni di macerazione) e affinato per un anno in barrique di rovere francese, metà nuove e metà di secondo passaggio. 
 
Rosso rubino intenso e scuro ma piuttosto brillante, impenetrabile e concentrato. Naso complessivamente piacevole, non stupisce per originalità ma per precisione stilistica, con sensazioni olfattive piuttosto nette e pulite. L’alcool (14.5%vol.) punge le narici e scalda un bouquet che gioca su un frutto pieno e scuro a braccetto con note di cacao e liquirizia, ma anche caffè tostato e tabacco. Vino materico, pieno e polposo, corposo, tannino importante ma ben levigato dall'affinamento in barrique che ne smussa il carattere, finale a tinte scure di bella persistenza e profondità.

Ha il pregio di “non mollare mai”, mantenendo una buona tensione gustativa, nonostante un’acidità poco marcata. Organoletticamente il vino non sorprende, nel senso che esprime esattamente quello che ci si aspetta da un Cabernet di queste zone, polpa e sostanza, potenza e persistenza, un'armatura importante che non appesantisce grazie ad un bel equilibrio, che rende la beva piacevole anche per chi predilige vini più snelli e sgrassati.

Chiamiamolo vino "grunge" per il suo stile 90′s, comunque... gusti a parte... un buon vino rimane un buon vino (tre bicchieri nel 2006) e questo lo é... decisamente più complesso e strutturato rispetto al Cabernet base assaggiato in precedenza. Essendo "il vino degli ospiti" non ne conosco il prezzo, ma su internet viaggia ad un prezzo medio di 15 euro.

sabato 1 febbraio 2014

MONTEPULCIANO D'ABRUZZO 2003 - D.O.C. - Emidio Pepe

...quello che contraddistingue Emidio Pepe e ne fa un produttore "culto" é la sua memoria storica... come se il tempo da queste parti si fosse fermato e racchiuso in un Montepulciano d'Abruzzo tutt'altro che moderno.


Per raccontare questa bottiglia devo riavvolgere il nastro della memoria ad almeno tre anni fa, quando finalmente, dopo averne letto numerosi e controversi commenti sui vini di Emidio Pepe, mi sono recato alla Sorgente del Vino Live (quando ancora si teneva in quel di Agazzano), dove ho avuto modo di gustare diverse annate di Montepulciano d'Abruzzo presso il loro banco assaggi e mi sono portato a casa una bottiglia del 2003. 

Trebbiano e Montepulciano, le due uve che caratterizzano la viticoltura abruzzese, da cui si ricavano vini spesso snobbati dai più, abituati come siamo a vederli relegati sugli scaffali dei supermercati per poche euro al litro. Eppure alcuni produttori lungimiranti, hanno dimostrato che da queste uve si possono ottenere vini di assoluta qualità, quando si affronta la materia con rispetto. Non a caso le più alte espressioni regionali portano la firma (entrata ormai nel mito) di Valentini, ma anche di aziende come Torre dei Beati, Praesidium e ovviamente Emidio Pepe, non a caso tutte cantine che possiamo inserire nella cerchia dei così detti produttori "naturali" e artigianali. 

La storia della cantina di Torano Nuovo é centenaria, ma é dal 1964, quando alla guida subentrano Emidio e sua moglie Rosa che si inizia a produrre il vino a marchio Pepe, così come lo conosciamo oggi. Da allora Emidio ha scelto la sua strada, ha messo in pratica la sua filosofia e la sua idea di vino. Oggi che a guidare la cantina troviamo le figlie Sofia e Daniela, nulla é cambiato ed il vino é ancora prodotto come papà Emidio ha insegnato. Il punto di forza dei vini di Pepe, diventati vini "culto" a livello internazionale, risiede proprio nella scelta di puntare alla produzione di vini territoriali di qualità, senza mai piegarsi alle mode o alle critiche, anche in tempi in cui vini come questi erano "quasi" del tutto incompresi. Oggi la scommessa é stata indubbiamente vinta e se qualcuno ha dovuto cambiare idea, non é di certo Emidio Pepe, ma tutta quella critica che solo negli ultimi anni sembra aver aperto gli occhi e si é dovuta ricredere.

15 ettari di vigneti coltivati a Montepulciano, Trebbiano e una piccola parte di Pecorino, per una produzione totale di circa 60.000 bottiglie. Dalla vigna alla bottiglia tutto il processo é assolutamente artigianale e naturale. Le vigne più vecchie con oltre 40 anni di età sono allevate a tendone, il resto a filare, il che consente di ottenere un buon "equilibrio" sia nelle annate più piovose che in quelle più soleggiate. E' ormai dal lontano 1964 che non si usa chimica in vigna, si pratica agricoltura biologica e in parte biodinamica. Le colline su cui sorgono i vigneti incastonate tra il mare Adriatico e l'appennino fanno il resto, grazie alla composizione argillosa dei terreni particolarmente drenanti, le forti escursioni termiche e una buona ventilazione che garantisce frutti sani ed integri. Raccolta manuale delle uve, diraspature manuali, pigiature con i piedi, utilizzo di vasche di cimento vetrificato, fermentazioni spontanee, senza aggiunta di lieviti selezionati e solforosa. Nessuna filtrazione e chiarifica, lunga fase di invecchiamento in bottiglia, con la "suggestiva" tecnica del travaso manuale, per eliminare il deposito accumulato nel tempo e colmare la parte mancante con vino della stessa annata, sostituendo il tappo e marchiando la bottiglia con l’anno di decantazione, una tecnica che consente di poter gustare bottiglie di annate anche molto vecchie, Emidio Pepe infatti, garantisce sull'integrità del suo vino per 20 anni. Potete trovare i suoi vini nel catalogo di Velier, che ha coniato il manifesto dei produttori di vini "Triple A" (ovvero Agricoltori, Artigiani, Artisti).

La bottiglia di oggi é un Montepulciano d'Abruzzo, annata 2003, spesso contraddittoria per via di una estate particolarmente calda che ha consegnato hai posteri vini decisamente "cotti"... ma non é questo il caso... ovviamente 100% Montepulciano, provenienti da un vigneto di 7 ettari con esposizione a sud-est e 40 anni di età. Diraspatura manuale in tini di legno e fermentazione spontanea in vasche di cemento, con successivo affinamento in bottiglia. Mediamente il vino viene commercializzato dopo un paio di anni, caso a parte per questa calda annata, con il vino che "non si apriva" ed é rimasto in cantina per 5-6 anni. Per la produzione sono state utilizzate esclusivamente le uve della vigna a tendone, perché quelle dei filari erano cotte.

I vini Pepe vengono prodotti con la stessa artigianalità di sessant'anni fa. Vini di carattere e senza compromessi, sicuramente veri e senza trucchi, vini che fanno discutere per le riduzioni e alcune "caratteristiche" puzzette. Premesso che il sottoscritto accetta puzzette solo se contenute (in passato ha dovuto affrontare un paio di bottiglie piuttosto difficili), mi sono mosso in anticipo ed ho lasciato "respirare" il vino per un paio di ore abbondanti. 

Colore rubino cupo che tende al granato, non brillante, ma di buona trasparenza. Al naso leggera riduzione iniziale assolutamente non fastidiosa, quasi a ricordarci il "profumo" di una fattoria, sensazione che sarà del tutto svanita il giorno dopo. Molto bene, sapevo di correre un rischio, ma la bottiglia é perfetta. Gamma olfattiva molto interessante e ricca di sfaccettature... nessun profumo sembra predominare, più che altro mi trovo davanti ad un caleidoscopio di suggestioni... inizialmente pungente e leggermente vinoso, bicchiere dopo bicchiere ci svela le sue molteplici sfaccettature, così a random... fiori appassiti, ciliegia e frutta rossa macerata, spezie piccanti, noce moscata, cuoio, erba bagnata, respiro animale, note minerali, balsamiche e una piacevole sensazione di calore. Il meglio arriva alla beva, mi stupiscono due cose su tutti... lo spirito "giovanile" nonostante gli undici anni di età e una piacevole freschezza che rendono il vino snello e incredibilmente bevibile. Non pensate però ad un vinello leggero e beverino "Borgogna style", struttura e longevità sono impressionanti, tannicità e morbidezza sono ben equilibrati, carnoso e potente, compatto, ma con quel filo di acidità che snellisce il tutto e rende "semplicemente" straordinaria la beva.

Se penso ad altre versioni di Montepuciano d'Abruzzo che ho assaggiato e alla "bollente" annata del 2003, mi sorprende come questa versione riesca ad esprimere una rustica finezza che affascina.

Un vino "naturale" a tutto tondo, dal lavoro in vigna, all'artigianalità in cantina, passando per l'originalità gusto-olfattiva, fino alla sua digeribilità che lo rendono il re della tavola. Se é pur vero che questi aggettivi posso essere accostati anche ad altri vini "naturali", quello che contraddistingue Emidio Pepe e ne fa un produttore "culto" é la sua memoria storica, nel conservare bottiglie molto vecchie (quasi 300.000 bottiglie in cantine di svariate annate dal '64 ad oggi), ma soprattutto nella ripetitività dei gesti, come se il tempo da queste parti si fosse fermato e racchiuso in un Montepulciano d'Abruzzo tutt'altro che moderno. Il tocco "vintage" della bellissima etichetta completa l'opera. Prezzo di acquisto al banco assaggi 23 euro, in enoteca si parte dalle 20-25 euro per le annate più recenti a salire per quelle più vecchie. L'investimento vale l'esborso, sperando che non vi capiti una di quelle bottiglie esageratamente "profumate".

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ACQUISTI IN CANTINA... A VOLTE I CONTI NON TORNANO !!

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da "Le vie del vino" di Jonathan Nossiter... < - In cantina questo Volnay, che qui é a 68 euro, ne costa più o meno 25. Quindi non sono i De Montille ad arricchirsi. Ma quando arriva a Parigi o a New York, il vino costa almeno il doppio che dal produttore. - Quindi per noi che abitiamo in Francia val la pena di andare a comprare direttamente da lui. - Si in un certo senso, il ruolo dell'enoteca in città è quello di aprirti le porte per farti scoprire il tuo gusto personale, e di esserti utile quando hai bisogno di qualcosa rapidamente. Poi spetta a te stabilire una relazione diretta con il produttore >

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!

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...Anche se sono un po’ più giovane e indosso il parka con le pins non significa che entro per mettermi sotto il giubbotto le bottiglie di Petrus fiore all’occhiello della vostra enoteca, quindi evitate di allungare il collo o sguinzagliarmi alle spalle un commesso ogni volta che giro dietro allo scaffale.