giovedì 31 gennaio 2013

TANCA LI CANTI 2011 - Rosso Isola dei Nuraghi I.G.T. - Panevino

Quello che rimane della mia esperienza con questo rosso di Panevino é.... una forma di "poetico" rispetto per Manca... un forma di "concreta e soggettiva" difficoltà nel bere il Tanca li Canti...


Al popolare grido di “pane al pane, vino al vino”, introduciamo il secondo stappato per il nostro FocuSardegna. Siamo partiti da sud, dal Sulcis, per raccontarvi del Carignano nella sua espressione massima, ovvero quel Terre Brune di Santadi, espressione “enologica” della viticoltura sarda più moderna e prestigiosa. Un grande vino, che indubbiamente merita gli attestati di stima ricevuti da mezzo mondo, anche se al sottoscritto non è riuscito a prendere il cuore. Più enologo che vignaiolo, per semplificare la questione. Volendo però esplorare i vini sardi nelle più svariate sfaccettature, oggi stappiamo il Tanca Li Canti, ribaltando completamente la situazione. Ci spostiamo infatti una settantina di km a nord di Cagliari, comune di Nurru, per parlarvi di una piccola realtà rurale sconosciuta ai più… trattasi di Panevino, cantina e agriturismo gestiti da Gianfranco Manca (vino), la moglie (pane) e i loro 3 figli.

Con Santadi abbiamo esplorato la Sardegna del vino “moderno”, una realtà con centinaia di soci e di ettari vitati, milioni di bottiglie prodotte, valorizzazione del territorio e delle uve autoctone attraverso una cantina all’avanguardia e a tecniche enologiche precise, coordinate da quel Giacomo Tachis, enologo simbolo dei Tuscan Wine. Qui invece, abbiamo un “garagista” con soli 4ha vitati e 7000 bottiglie prodotte, un “anarchico del vino” se mi concedete il termine, sicuramente un creativo, tanto si basa sull’istinto e una sua personale visione della tecnica enologica. Un personale e quotidiano percorso fatto di scoperte. La produzione è biologica certificata, ma a Manca non interessa. Lui è “vignaiolo sulla terra”, quindi non parlategli di vini naturali, tecniche biodinamiche, uve autoctone, terroir e quant’altro… sono solo chiacchere per chi di vino scrive. I suoi vini sono personali e in continua mutazione, così come lo è la natura, oggi stappiamo il Tanca Li Canti, domani chissà… probabilmente non esisterà, sostituito da un nuovo vino, una nuova idea, un nuovo assemblaggio. Ogni annata ha la sua storia e i suoi vini ne sono espressione (anche i nomi e le “originalissime” etichette cambiano in continuazione). Alla faccia di chi parla di terroir e uve autoctone, qui in pochi ettari convivono le più svariate qualità di uve e poi in base ai frutti della vigna e alle idee che bazzicano nella testa di Manca si realizzano i vini. Panevino è produttore naturale nella sua eccezione più ampia, nella cura del vigneto indubbiamente, ma anche nei metodi di vinificazione, spesso estremi ed originali (ad esempio macerazioni all’aria aperta), fino ad assemblaggi particolari, senza l’utilizzo di solforosa. Manca ha le sue idee e le mette in pratica, senza curarsi minimamente del mercato. Come dire, questo è il mio vino, prendere o lasciare..

Le aspettative sono tante, non posso negare di essermi a priori innamorato di Panevino, per quello che hanno scritto su di lui persone e appassionati di cui stimo il giudizio e le riflessioni, dalle parole che mi ha scritto Andrea di Avionblu quando gli ho chiesto se aveva informazioni su come veniva prodotto il Tanca li Canti…Ieri ho incontrato il produttore e mi ha detto che è una vigna nuova ed la sua prima annata 2011. Ovviamente prodotto già esaurito perché prodotto in poche bottiglie. Mi pare di aver capito che fa uscire i vini in base a come si alza la mattina, assaggia e decide se fare dei tagli o tenerlo fermo.... quindi spero sia buono perché rimane un esperienza unica e per pochi.. Insomma c’è molta carne al fuoco e molto interesse da parte del sottoscritto.. Panevino è una cantina che mi piace e Gianfranco Manca è indubbiamente un personaggio che ispira simpatia e curiosità.

La prova del nove però rimane sempre la bottiglia, perché per un consumatore come il sottoscritto, andare in enoteca ed investire dei soldi, significa anche “pretendere” di avere delle soddisfazioni quando bevi quel vino, che magari come in questo caso, è anche difficile da trovare e diciamolo non viene proprio via per pochi euro. Come già detto in occasione del Sophia di Cantina Giardino, quando ci troviamo al cospetto di produttori “naturali” nella loro eccezione più ampia, tanto da poterli definire “estremisti” (se mi passate il termine) nel loro metodo di vinificazione, rimane sempre una curiosità… tutto molto figo… ma come sarà il vino? 

Se è vero che tra questi piccoli produttori “naturali” ho spesso trovato vini entusiasmanti, anche se non sempre perfetti, è altrettanto vero che in alcuni casi, mi sono ritrovato a bere con molta fatica vini che poco hanno da condividere con il mio personale senso del piacere. Proprio in questi giorni di dibattiti e prese di posizione pro e contro i vini naturali e relative sensazioni olfattive non proprio piacevoli, caschiamo a fagiolo con il Tanca li Canti di Panevino.

Allora ve lo dico subito, non sono riuscito a bere più di un bicchiere al giorno, ma per una questione di rispetto verso chi fatica in vigna e nutre amore per la terra, non mi permetto di definire “difettoso” o “puzzolente” il vino in questione o di mettere in dubbio le competenze enologiche di Manca, ma è indiscutibilmente un vino i cui profumi sono tutto fuorché dei profumi piacevoli. Sia chiaro, siamo nel campo della soggettività, ma stappare un vino ed avere suggestioni di fossa biologica e campi concimati “naturalmente” di fresco, non è proprio quello che mi fa innamorare di un vino. La questione é questa... perché posso bere con gioia e gusto vini "naturali" e incredibilmente gustosi come quelli di Principiano, Il Cancelliere, Terpin, Santa Caterina, Castello Conti, Crealto, Roagna, Del Prete, Cos, Occhipinti, Montiani, Il Cerchio, Pacina, Foradori, Calcabrina, Monte dall'Ora, Pialli e molti altri, mentre invece trovo impossibile trovare godimento da vini come il Sophia o questo Tanca Li Canti? Sarò forse io (pur con la mente aperta e sempre entusiasta verso nuove esperienze gustative) figlio dell'omologazione del gusto, incapace di gustare certi vini?... Per quanto mi riguarda in questi casi i conti non tornano. Ripeto rimango nell'ambito della soggettività e non punto il dito contro nessuno... 

Rimango con il mio punto di domanda su questa discussa questione, e passo al Tanca Li Canti, prodotto da un mix di uve Cannonau e Alicante, quindi come riportato in etichetta un Rosso dei Nuraghi I.G.T., prodotto senza l'utilizzo di alcun correttivo e conservativo. Nulla so sulla vinificazione, posso dirvi solo che questo 2011 é alla sua prima annata, niente solfiti, chiarifiche o filtrazioni. Da notare la gradazione alcolica piuttosto bassa (12%vol.) soprattutto se consideriamo le alte gradazioni raggiunte dai vini sardi. Bella l'etichetta, la stessa utilizzata in passato per il suo Pikadè. 

Il colorito é un rubino non troppo carico, slavato ma piuttosto concentrato, con alcune particelle in sospensione, poco limpido. Ricorda molto il colore del mosto. Per il resto, pur avendo alcune caratteristiche ben marcate, dovrei suddividere le sensazioni olfattive-gustative in 3 parti ovvero una per ogni giorno in cui ho bevuto il vino, perché il vino si é parecchio evoluto. Si parte "forte" e appena stappi si é invasi da un sentore non proprio gradevole, tutt'altro (chiamiatele come volete..) con acidità volatile piuttosto spinta. Il vino giorno dopo giorno, si é via via aperto e ha acquistato una certa piacevolezza, qualche (poche) note fruttate, un'acidità più sottile che regala una bella tensione e soprattutto si avvertono molto meno i sentori più sgradevoli, sostituiti dalle più piacevoli note floreali e minerali. Adesso va meglio, particolare, strano, diverso ma non fastidioso. Anche la beva con il passare dei giorni ne ha beneficiato, insopportabile appena aperto, un retrogusto acido-amarognolo sferzante, non lo nego, mi ha rovinato il buon sapore delle pappardelle al ragù... poi ne é uscito un vino molto più bevibile, tanto da apprezzarne dinamicità e freschezza, un beva snella e mai pesante, dove il retrogusto amarognolo (comunque ben presente...) lascia spazio anche a qualche nota dolciastra. Uno dei vini più difficili che mi sono capitati insieme all'aranciato Sophia di Giardino, ma in questo caso il Tanca Li Canti, dopo la mazzata iniziale, ha il merito di aprirsi e farsi un po' più amabile.

Quello che rimane della mia esperienza con questo rosso di Panevino é.... una forma di "poetico" rispetto per Manca... un forma di "concreta e soggettiva" difficoltà nel bere il Tanca li Canti... una forma di "personale dispiacere" se per la mia "sete" di conoscenza e amore per i produttori naturali, avessi speso quasi 30 euro in enoteca per un vino di cui non sono riuscito a bere più di due bicchieri al giorno... e per concludere la sensazione che il pur bravo Manca, inizi a vinificare senza sapere cosa si ritroverà in bottiglia una volta stappata. 

Che dire, mi piacerebbe assaggiare qualcos'altro di Panevino, giusto per capire se i suoi vini sono tutti così o se solo questa new entry richiede 3/4 giorni per iniziare ad essere bevibile ad uno che ama i vini "natur" e non si offende di fronte a certi diffettini, purché questi rimangano tali e non diventino la caratteristica predominante. 

Vignaioli "anarchici" vi rispetto, ma all'anarchia vitivinicola di Manca predilico (ad esempio) un Capellano che ama l'anarchia ma anche il terroir e ci regalano vini "emozionanti" in tutti i sensi.

lunedì 28 gennaio 2013

VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO 2007 - D.O.C.G. - Fattoria del Cerro


...tecnicamente ben fatto e con il piglio del vino importante,  avrebbe bisogno di una piccola cura dimagrante, per renderlo più snello e più solare..


Capriolo in salmì e polenta di rito, per una rustica ed invernale cena tra amici, il tutto ovviamente innaffiato da abbondanti bicchierate di vino rosso. Provo a calare il jolly, stappando un Barolo del 69 di Giovanni Scanavino, rischioso certo, ma non mi piace usare le bottiglie come soprammobili, o meglio, mi piace un sacco, ma solo quando sono vuote! Non potevo non assaggiarlo. Così, nonostante le 5 ore abbondanti di ossigenazione, la beva risulta ancora piuttosto estremo, almeno quanto basta per evitare di berlo a bicchierate durante una cena con amici. Facciamo un assaggino per curiosità e lo abbandoniamo... ci riproverò il giorno dopo, da solo... per accompagnare il piatto di capriolo avanzato. Andiamo così a stappare la bottiglia portata dai nostri ospiti, che é un Nobile di Montepulciano 2007 della Fattoria del Cerro, quello che tanto entusiasma Luca Maroni per intenderci. (Oscar del vino 2010 per Bibenda).

 La Fattoria del Cerro é una delle maggiori e più conosciute realtà della denominazione di Montepulciano, con la bellezza di 170 ettari vitati (oltre 90 nella D.O.C.G. del Nobile) e una produzione che supera abbondantemente le 800.000 bottiglie. Realtà esistente dal 1922 e di proprietà della famiglia Baiocchi, che nel 1978 viene acquistata dal gruppo Saiagricola, di proprietà della Fondiaria Sai (Unipol). Tanto basta per togliermi ogni poesia, ma si sa che anche con il vino si fanno fatturati importanti, generando interesse e acquisizioni da parte di finanziarie e industriali di ogni tipo (pensiamo ad esempio al patrimonio vinicolo di Axa assicurazioni in Francia..). A completare l'opera, la consulenza enologica del più famoso winemaker italiano, Riccardo Cotarella (avete visto Mondovino? Ecco Cottarella é il Michel Rolland italiano, tanto per intenderci). Credo ci sia già più di un elemento valido per girare alla larga da questa bottiglia e investire i nostri sudatissimi euro su qualche piccolo produttore..

Detto questo andiamo sul vino, che comunque sa il fatto suo.. uvaggio a base di  Prugnolo Gentile 90% e a completamento in egual misura Colorino e Mammolo. Vinificazione di 15-20 giorni a temperatura controllata, con invecchiamento suddiviso al 70% in botti di rovere di Slavonia per 18 mesi, mentre il 30% restante prima passa un anno in barriques e poi, per i restanti 6 mesi passa anche lui in botti grandi. Per concludere un breve affinamento in inox e 6 mesi in bottiglia.

Di colorito rosso rubino carico e piuttosto concentrato, scuro e impenetrabile, all'olfatto é intenso con componente alcolica in buona evidenza (13.5%vol.), richiami di frutta rossa ma soprattutto una notevole speziatura, che delinea un naso incentrato su potenza e persistenza. Non mancano sentori più "legnosetti" e la consueta spruzzata di vaniglia. Naso importante ma un po' seduto e poco elegante, con un bouquet che rimane sempre uguale senza mai aprirsi o regalarci una varietale in evoluzione. La beva conferma caratteristiche da vino importante.. pieno e caldo, decisamente tannico, possente, di buon spessore e discreto equilibrio. La beva non é leggerissima e manca in dinamicità... come al naso rimane un po' sulle gambe. E' vino che si beve con piacere, ma sicuramente gli manca quella punta di acidità che favorisce la beva e gli dona freschezza. Pur dimostrandosi tecnicamente ben fatto e con il piglio del vino importante,  avrebbe bisogno di una piccola cura dimagrante, per renderlo più snello e più solare, e far uscire fuori maggiormente il caratterino pungente del Sangiovese.

I grossi volumi produttivi consentono comunque la facile reperibilità del prodotto presso la GDO e un rapporto qualità prezzo piuttosto interessante (12-13 euro), il che rende questo vino appetibile a molti. Devo comunque ammettere che tra pregi e difetti il suo carattere "cupo" si é ben abbinato ad un piatto rustico e poco incline alla raffinatezza, come il nostro capriolo in salmì. Insomma, pur senza grandi spunti, si é rilevato niente male... ma mi chiedo cosa bevono a Bibenda per eleggere questo vino "rosso dell'anno 2010".

mercoledì 23 gennaio 2013

TERRE BRUNE 2008 - Carignano del Sulcis Superiore D.O.C. - Santadi

...che sia un gran vino, non si discute... eppure non mi ha preso il cuore, é una gran bella donna, come quelle che vediamo sulle riviste patinate, ma non scatta la scintilla, quell'imperfezione, o fascinoso mistero che ti fa innamorare e perdere la testa.


Primo stappato per il trittico di vini del nostro "FocuSardegna" e partiamo subito con un pezzo forte, un vino importante e prestigioso, apprezzato da molti, decantato dalle guide specializzate... ovvero il Terre Brune di Santadi, simbolo del nuovo corso dell'enologia sarda. Questo é il vino che ha rivalutato e portato all'attenzione degli appassionati il potenziale qualitativo dell' autoctono vitigno Carignano.

Siamo nella Sardegna sud-occidentale (Sulcis), area vitivinicola di grande suggestione, con vigne antichissime ad alberello che sembrano baciare il mare. In passato pochi si sono curati di questo vitigno, le cui uve erano spesso vendute come "uve da taglio" o trasformate in vino per uso personale. Negli anni 60, grazie all'unione di molti produttori locali, che si sono associati per trasformare l'uva in vino, nasce la Cantina di Santadi. Si inizia così a valorizzare le uve del territorio, inizialmente come vino sfuso e rosso da tavola, successivamente a partire dalla metà degli anni 70, con l'elezione di Antonello Pilloni alla presidenza di Santadi e l'arrivo di Giacomo Tachis come enologo (sua la firma di alcuni dei più prestigiosi vini sardi) inizia una marcata inversione di rotta, che porterà importanti risultati qualitativi e commerciali. Le esperienze passate di Tachis in terra di Toscana (Sassicaia, Tignarello e Solaia i suoi vini più conosciuti), vengono trasferite in Sardegna, ed é subito un successo, dato che in questi anni le guide e i "listini prezzi" sembrano impazzire per i vini barricati, polposi e zuccherosi. Inizia così sulla scia dei Supertuscan, quelli che amo definire i Supersardus....

Così alla "quantitativa" produzione di vini da tavola a basso costo, tipica delle cantine sociali sarde, si investe e si punta su una linea di vini di "eccellenza", che porteranno Santadi tra le più importanti cantine italiane. Oggi la cooperativa può vantare la bellezza di 200 soci, 600 ettari vitati e quasi 2 milioni di bottiglie commercializzate. Vino simbolo per questa cantina e per la rinascita enologica del Sulcis é il Carignano riserva "Terre Brune", prodotto con uve Carignano più un 5% di uve Bovaleddu.Vendemmiato manualmente tra fine settembre ed inizio ottobre, con 15 giorni di macerazione in tini di acciaio a temperatura controllata, viene affinato per 16-18 mesi in barriques nuove di rovere francese, più un anno di bottiglia senza nessuna filtrazione.

Riassumendo.. una cantina sociale, un terroir unico costellato da vigneti ad alberello centenari, una ricca biodiversità come quella sarda, una cultura e una tradizione vinicola contadina e popolare... e poi tac... arriva Tachis l'enologo simbolo degli anni '80 e si svolta verso i "Supersardus"...verso la consacrazione delle guide, il successo internazionale. Dove mette lo zampino Tachis é un successo... Insomma se siete appassionati intelligenti e avete l'occhio lungo (e conoscete come la pensa chi sta scrivendo), sapete già come andrà a finire... ma gustiamoci prima questo superpremiato Terre Brune, che non capita tutti i giorni di stappare vini da 40 euro... e se tanti esperti lo lodano... mi aspetto grandi cose.

Nel bicchiere sfoggia un rosso rubino piuttosto scuro e profondo, carico, concentrato e caldo. Al naso da il suo meglio, con un ventaglio olfattivo articolato, ricco di sfumature e assai coinvolgente. Inizialmente pungente con vena alcolica pronunciata (14.5%vol), intenso e persistente, esplode letteralmente dopo un paio di rotazioni, con un bouquet aperto e ricco che regala avvolgenti sensazioni di calore. Ne esce la dolcezza della confettura rossa e nera, ma anche spezie dolci, vaniglia, liquirizia, suggestioni di macchia mediterranea e una lieve tostatura di fondo. E' un barricato e si sente, l'uso sapiente dei legni lavora sui fianchi e ci regala un bouquet sferico e tridimensionale, sempre in perfetto equilibrio. Da manuale. Alla beva prosegue su questa falsa riga, pieno, caldo e avvolgente, di importante struttura, con trama tannica fitta ma molto fine e vellutata. L'equilibrio delle componenti é perfetto, il palato é inebriato da "polpose" sensazioni di frutta matura, soprattutto prugne e marasche. Non finissimo, ma di bella eleganza, sa essere "carnoso", ma sfilare come la seta, lasciando al palato un'ottima sensazione di pulizia. Il finale manca un po' di profondità, ma ha buona persistenza, con richiamo di sensazioni dolciastre e leggera speziatura. Il vino é ineccepibile, tecnicamente perfetto, gustoso e piacevole, molto amabile e assai piacione con la bocca che ti rimane dolce per i minuti successivi.

Adesso rileggete il riassunto scritto sopra e facciamo un'analisi critica (personale e soggettiva sia chiaro, ma credo condivisibile da chi ama il vino)... che sia un gran vino, non si discute... eppure non mi ha preso il cuore, é una gran bella donna, come quelle che vediamo sulle riviste patinate, ma non scatta la scintilla, quell'imperfezione, o fascinoso mistero che ti fa innamorare e perdere la testa. Preferisco vini forse meno perfetti e un po' più terrosi, più spigolosi, magari difficili, che richiedono più tempo per essere capiti, ma che riescono maggiormente ad incuriosirmi, che riescono a creare una forma di sinergia e una complicità tra il bevitore e il vignaiolo, la storia della sua terra, il carattere della sua gente.

Qui ad uscire, pur considerando le caratteristiche del Carignano, da cui si ricavano vini concentrati, ricchi di polpa e componente zuccherina, l'impronta Tachis style, si fa sentire, vino dal respiro "internazionale", che lascia la sensazione di "già bevuto", che può far gioire i seguaci del Gambero Rosso, AIS e Luca Maroni... un po' meno chi preferisce il vino del vignaiolo a quello dell'enologo. Il Terre Brune ha riscritto la storia del vino sardo, portandolo dalla tavola a quadrettoni delle osterie ai più prestigiosi ristoranti di mezzo mondo, ridando slancio all'imprenditoria vitivinicola di questa regione. Ma con scelte stilistiche di questo tipo, come purtroppo abbiamo già visto in Toscana, non si rischia di arrivare al successo e ai premi, a discapito dell'identità territoriale? Passato il boom dei Supertuscan (che a parte qualche grande nome, oggi sono svalutati o cercano mercato nei nuovi "bevitori" russi e orientali), non sono forse i classici e tradizionali sangiovesi di Biondi Santi, Baricci, Poggio di Sotto, Monteraponi, Isole e Olena, Montevertine ecc... la bandiera dell'enologia Toscana?

La sensazione é che il Tachis style, abbia fatto scuola anche in terra sarda e gli investimenti (con successo in breve tempo) di cantine come Agri Punica (sempre sotto l'ala di Santadi) e Mesa sembrano dimostrarlo.

sabato 19 gennaio 2013

PASSAGGI ETILICI... TERZA SOMMINISTRAZIONE... FOCUS SARDEGNA


Prosegue anche in questo inizio di 2013 la collaborazione tra Simo diVino e l'enoteca Avionblu. La formula é sempre la stessa, un trittico di vini da assaggiare e da raccontarvi. Per la precisione, dopo i 3 vini per l'autunno e i 3 vini per un Natale biodinamico, iniziamo l'anno con un focus regionale, ovvero 3 vini sardi, cercando, con 3 semplici mosse (ovvero 3 stappati...), di abbracciare il panorama vitivinicolo dell'isola dei 4 mori. Partiamo...

La cultura vitivinicola é radicata da secoli nel popolo sardo, tanto che anche ai giorni nostri, non é raro incontrare vignaioli "fai da te", che producono piccole quantità di vino per loro uso e consumo. Un contesto vitivinicolo unico, dove a farla da padrone sono le uve Cannonau, Carignano e Vermentino, sicuramente tra le più conosciute, ma anche vitigni antichi come la Vernaccia e la Malvasia di Bosa, a cui si aggiungono altre varietà, forse meno conosciute, ma altrettanto nobili e caratteristiche (dal Monica al Mandrolisai, passando al Girò, il Nuragus, il Nasco ecc...). Il clima caldo e secco e la conformazione dei suoli, ha favorito la presenza, ancora oggi, di parcelle costituite da vigneti centenari, oltre a forme di allevamento della vite ad alberello e a piede franco. 

Ne derivano vini dalle forti tinte, potenti, concentrati, ricchi di zuccheri e dalla gradazione alcolica elevata. Non bisogna però pensare a dei vini muscolosi e pesanti, al contrario, sono spesso vini assai godibili e piacevoli, caldi, rotondi, succosi ed equilibrati (anche se ricordo un "portentoso" Cannonau da 15° comprato da un "piccolo" contadino vicino ad Orgosolo.. non proprio "equilibrato"). La ricca biodiversità dell'isola, consente inoltre di ritrovare nei suoi vini alcuni caratteristici profumi mediterranei, come mirto e mandorle, erbe aromatiche e sensazioni marine. 


Ruolo di rilievo, tra i produttori sardi, é svolto dalle numerose cantine sociali, in grado di raccogliere e associare centinaia di piccoli produttori. Una viticoltura soprattutto di quantità, alla quale però va riconosciuto un ruolo “popular” e "social", nel valorizzare tante piccole "vigne da giardino", diventate una forma di reddito per tanti agricoltori locali, che hanno iniziato a vendere le proprie uve alle cooperative vinicole, anziché produrlo solo per se stessi. Come è avvenuto nel resto d’Italia, anche in Sardegna negli ultimi 30/40 anni si è deciso di innalzare il livello qualitativo, sfruttando l'ottimo potenziale delle autoctone uve sarde, ricavandone vini importanti, moderni e dal respiro “internazionale”, in grado di giocarsela con le più famose e "tre-bicchierate" cantine italiane. Sono anni in cui si affermano i vini colorati e concentrati, ricchi di polpa dolce e alte gradazioni alcoliche. Caratteristiche che, come abbiamo scritto sopra, i vini sardi hanno nel loro dna.

La Sardegna inizia a guardare ai successi della dirimpettaia Toscana, ed inizia un nuovo corso, quasi un mix tra antico e moderno, vigne antiche che incontrano barriques nuove... con quali risultati? Lo scopriremo... il nostro focus parte proprio da qui, diciamo dal vino sardo più facile, moderno e conosciuto ai più.

Ecco il Terre Brune, un Carignano riserva del 2008, prodotto da Santadi, cantina con mezzo secolo di storia alle spalle, che negli anni 70, grazie al contributo di Giacomo Tachis (amato/odiato enologo che ha lanciato la “moda” dei supertuscan di taglio bordolese) ha segnato la rinascita (anche commerciale) del Carignano del Sulcis. 


In un panorama frastagliato e fortemente territoriale come quello sardo, oltre alle cooperative e alle grandi aziende vitivinicole, non mancano certo i piccoli e medi produttori, che anzi, rappresentano il fiore all'occhiello della viticoltura sarda. Parleremo anche di loro ovviamente, stappando il Tanca Li Canti di Panevino (mix Cannonau/Alicante), 4 ettari vitati a regime biologico, per una delle più interessanti ed originali realtà del vino naturale sardo insieme a Dettori. 

Per concludere uno "stappato" nel segno della tradizione, con un vino classico e storico come la Vernaccia di Oristano, delle antiche cantine Contini, fondate nel lontano 1898… Assaggeremo l'ultima annata appena uscita, un 2002, dopo ben 10 anni di botte.

3 vini e 3 cantine quindi, che ben rappresentano l’odierno panorama vitivinicolo regionale nelle sue varie entità. Spero di avervi dato i giusti stimoli, per andare alla scoperta di queste etichette.  Rimanere sintonizzati é d'obbligo. Ajò…

mercoledì 16 gennaio 2013

BAROLO "GRIGNORE'" 1999 - D.O.C.G. - Ceretto

Barolo Grignorè in Serralunga... storia di un nobile "cru", che oggi non si produce più... e c'è chi svende le ultime bottiglie rimaste...

 
Questa é la storia di un nobile sconosciuto, o meglio di un vino che é stato per pochi e che tra un po' non sarà più per nessuno. Cerco di fare ordine e chiarezza... ecco di cosa si tratta. Allora, per una serie di passamani e avvenimenti che non starò qui a raccontarvi, una quindicina di giorni fa mi viene regalata questa bottiglia di Barolo. Produttore Ceretto, una delle più conosciute e blasonate (anche a livello mediatico) cantine langarole, non tra i miei produttori del cuore, ma sicuramente di valore e di cui ho già avuto modo di scrivere, raccontandovi del loro Barbaresco Asij, a cui vi rimando per leggere un po' di notizie in merito a questa storica famiglia di viticoltori

Insomma, non é poi così difficile imbattersi in una bottiglia di Ceretto, anche se non l'avete mai cercata... rimango comunque sorpreso dalla bottiglia, annata 1999, definita dagli esperti eccezionale o comunque molto buona, etichetta numerata e produzione limitata a 2492 bottiglie, ricavate dal vigneto Grignoré, piccola parcella in Serralunga. No sono un eno-strippato, ma da appassionato, se bevo una bottiglia, soprattutto di un certo livello, mi piace raccogliere qualche informazione in merito, sul produttore, sulla vinificazione ecc.., per farmi un'idea più precisa in merito, che non sia limitata al semplice esame organolettico. Oggi con tutte le informazioni a portata di click, niente di più semplice, soprattutto i produttori più importanti (quelli che curano il marketing), hanno siti dettagliati ed esaustivi. 

Vado sul sito di Ceretto, ma aimé, del Grignoré non c'è traccia. Vai di Google, ma anche qui pochissime notizie, trovate traccie solo sulla carta dei vini di un ristorante. Cresce il mistero e anche le ipotesi. Come mai una cantina come Ceretto produce un cru di cui oggi non ve né più traccia? Provo a chiedere ad alcuni amici con decennale esperienza nel settore, ma anche qui un buco nell'acqua. Ne esce un'ipotesi un po' maliziosa... vuoi vedere che Ceretto ha provato a commercializzare un cru (un po' in stile Borgogna), per provare a piazzarlo nel mercato a prezzi elevati e successivamente l'ha ritirato a causa dei scarsi risultati di vendita? E' solo una supposizione... ma per fare chiarezza non mi resta che contattare la cantina... e così, dopo una quindicina di giorni ricevo risposta dall'addetta ai rapporti con i clienti... (che ringrazio per il gentile chiarimento) e mistero svelato... ecco cosa mi hanno detto....  

"...per quanto riguarda il Barolo Grignorè di Ceretto, le comunichiamo che si tratta di una piccolissima produzione esclusiva per il Ristorante Guido di Costigliole, mai entrato nella nostra normale distribuzione commerciale. Grazie all'amicizia tra il sig. Marcello Ceretto e il sig. Guido Alciati, proprietario di uno dei Ristoranti stellati più prestigiosi del Piemonte, per alcuni anni ('80 - '90) si è vinificata l'uva proveniente dal vigneto Grignorè di Serralunga, sottozona Gabutti (menzione geografica) solo per Guido, il quale, essendo un grande selezionatore di prodotti di eccellenza, lo serviva e lo vendeva ai suoi clienti. 
Il figlio di Guido, Piero Alciati, ha continuato questa collaborazione con Marcello anche dopo il trasferimento del Ristorante da Costigliole d'Asti alla sede di Pollenzo, presso l'Agenzia di Pollenzo / Slow Food. A seguito dell'acquisizione dell'Agenzia di Pollenzo e del Ristorante Guido da parte di Oscar Farinetti di Eataly, la collaborazione è cessata, ed il 1999 è stato l'ultimo anno di produzione del Barolo Grignorè per Guido. La vinificazione era di tipo tradizionale, macerazione a cappello sommerso, fermentazione malolattica e i 3 anni di invecchiamento previsti dal Disciplinare in Botti grandi di Rovere di Slavonia da 55 Hl. Il valore commerciale della bottiglia di Barolo Grignorè 1999 è circa 100 Euro, ma mi ha detto Alessandro Ceretto che Eataly lo sta svendendo, come sta svendendo molti altri vini ma non sappiamo bene a quale prezzo".

Mistero svelato e una cena a base di capriolo in salmì con polenta é l'occasione giusta per assaggiare questa selezione del '99. Nel bicchiere sfoggia un rosso granato piuttosto scarico e velato, poco brillante. Il naso é intenso e persistente, etereo. Decisamente spinto, sfoggia una bella alcolicità (14%vol), che esalta un bouquet complesso, con profumi floreali di rosa e viola. Le note fruttate richiamano il sottobosco e le ciliege sottospirito, con una pungente speziatura a base di pepe e noce moscata. Il tutto é accompagnato da sensazioni tostate, che ricordano il caffè, il tabacco e il cuoio. E' lungo, complesso e ricco di fascino. Al palato é asciutto e deciso, di grande struttura e trama tannica. E' un vino possente, ma mai pesante o muscoloso, sfoggia complessità ed eleganza, una beva consistente ed importante, profonda e lunga. In poche parole una grande bevuta. Peccato che questa sia (o meglio era) una delle ultime bottiglie rimaste. 

Se per caso ve ne capita una tra le mani, non fatevela scappare, soprattutto se siete dei collezionisti, perché tra un po' non se ne troveranno più. Per chi invece il vino non lo colleziona, ma lo beve... non disperate, bottiglie di Barolo altrettanto grandi, non mancano. Il "Grignorè" é un Barolo tradizionale, anche se non troppo rustico, ma in grado di sfoggiare il carattere che si va cercando in un grande e tipico vino di Langa.  

Veronelli diceva che “Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino industriale”.... condivido eticamente questa affermazione, ma mentirei a me stesso se "bocciasi" questo cru solo perché prodotto da una grande cantina. Quando un vino é buono... é buono ed é giusto affermarlo senza preconcetti, anche se, davanti ad uno scaffale di bottiglie di Barolo, il cuore mi spingerebbe verso altre etichette. Un gran bel Barolo.. anzi lo é ancora se riuscite a scovarlo...

giovedì 10 gennaio 2013

MARCALEONE 2010 - Grignolino del Monferrato Casalese D.O.C. - Crealto

Gustoso ed appagante, pulito e mai grasso, è l’antitesi del vino moderno. Ogni volta che bevi un Grignolino, è un viaggio indietro nel tempo e il Marcaleone ne è un’ottima espressione. 


Siamo nel Monferrato Casalese, provincia di Alessandria... quasi al confine con quella di Asti, zona di eccellenza per la produzione del Grignolino... vino scandalo, vino dispari, vino difficile e poco redditizio ma profondamente amato (cit. Maurizio Gily riportata sulla retro-etichetta del Marcaleone). E io ci aggiungo pure, vino dimenticato... Quando ero un "bocia" mio padre lo comprava sempre... non so perché ma me lo ricordo. Arrivava "l'uomo del vino" e insieme alle damigiane di Barbera, consegnava sempre un paio di cartoni di Grignolino. Era il vino buono, quello da stappare nei giorni di festa. Oggi non lo compra più come una volta, ma se gli chiedi il nome di un buon vino, sicuramente nominerà anche il Grignolino... Profondamente amato (cit.).

Abitudini e gusti dei consumatori sono cambiati, si é globalizzato tutto, vino compreso e il Grignolino per anni non se l’è filato più nessuno, dimenticato. Troppo chiaro e troppo acido, poca polpa, pochi zuccheri e zero legno... in poche parole... fuori moda. Ultimamente sembra esserci un ritorno di interesse, ma vini come il Grignolino, il Ruchè o il Boca (giusto per restare in Piemonte) sono ancora poco conosciuti ai più. Fortunatamente, grazie a vignaioli "veri", che hanno tenuto duro nel segno della tradizione e dell'identità territoriale, oggi possiamo ancora godere di questi vini “senza compromessi”. 

Il "movimento mediatico" generato da Mondovino, che ha aperto gli occhi a molti appassionati, ma soprattutto la "svolta" critica di Veronelli, il fiorire di manifestazioni dedicate ai vini veri, naturali e di territorio, la nascita della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti e perché no, la voce "senza conflitto d'interessi" di alcuni wine-blogger, hanno risvegliato l'interesse verso i piccoli produttori e i vini autentici. Parlare di rinascita può essere eccessivo, ma é sicuramente di buon auspicio la sfida raccolta da alcuni giovani vignaioli, che hanno deciso di salvaguardare le tradizioni e valorizzare, anche attraverso un'agricoltura più sostenibile, il terroir di cui sono custodi. Crealto e il Marcaleone ne sono un esempio...
Ad Alfiano Natta, in loc. Cardona, provincia di Alessandria, nasce quasi 50 anni fa un'azienda vitivinicola col nome dell'ex vigneron Carlo Quarello, affascinante ed erudito personaggio, noto a tutti in zona come "Il maestro del grignolino". Insieme al figlio Valerio ha per molti anni condotto vigna e cantina e si è fatto conoscere ai più con il suo Grignolino Crè Marcaleone, sfidando chi non credeva in quel vino così di nicchia ed "anarchico" e chi lo prendeva per pazzo a non sfruttare il fantastico terroir limoso-argilloso.  (crèia significa argilla in piemontese ed in francese!!), per la coltivazione di vitigni più "nobili" quali Barbera e Nebbiolo che comunque, col tempo, sono arrivati. (Crealto)

Dal 2008 questa importante eredità é stata raccolta da quattro ragazzi genovesi, che anima e cuore hanno dato vita all'azienda vitivinicola e agriturismo Crealto. Guardare al futuro facendo un passo indietro, ovvero tornare ad occuparsi della terra e lavorare in campagna, quella che i nostri genitori, "accecati" dal boom economico hanno abbandonato negli anni 60. Una scelta che amo definire "politica" nella sua eccezione più ampia, radicale e coraggiosa... una scelta fatta di rischi ma anche di libertà. Se un "mondo diverso é possibile", riappropriarsi della terra, ripopolare le campagne, combattere il cemento con forme di agricoltura sostenibile, é un buon punto di partenza, un buon esempio, per guardare al futuro con maggior ottimismo e speranza. 

Ho chiesto ad Eleonora vignaiola e "boss" di Crealto, insieme a Luigi, di raccontarci la loro esperienza... "A me e Luigi lo spirito “sovversivo” non è mai mancato, nemmeno la voglia di respirare aria di campagna e vedere solo, o quasi, verde. Se a questo uniamo i tragici anni che hanno contraddistinto il nostro ingresso nel mondo degli adulti, politicamente, economicamente, socialmente e culturalmente parlando, la scelta di diventare un tassello della nuova civiltà contadina, sembrava obbligato. La nostra passione immensa per il vino ci ha portato a tentare il tutto e per tutto, coinvolgendo emotivamente ed economicamente (ahimè, il rilevare un'azienda vinicola non è propriamente “popolare”) le nostre povere famiglie, per diventare vignaioli e con l'aiuto di Elisa ed Andrea, i cuochi di famiglia, ristoratori. E noi ripaghiamo il destino magnanimo e la natura, che ci regala meravigliosi frutti, non trascurando mai la componente etica nel nostro lavoro".

Oggi quattro anni dopo, posso dire (e spero di non sbagliarmi), che i ragazzi di Crealto ce l'hanno fatta e i frutti del loro lavoro sono sotto gli occhi (e dentro i bicchieri) di tutti. La scelta "sovversiva" abbinata alle pratiche "natur" nella gestione della vigna, hanno permesso al terroir di esprimersi al meglio e regalarci vini, la cui naturalezza si sente in bocca. Utilizzo di pratiche biologiche e biodinamiche, salvaguardia della bio-diversità del vitigno, zero fitofarmaci, zero concimi chimici e diserbanti. Vini genuini e senza trucchi, solforosa ridotta all'osso, utilizzo di lieviti indigeni, nessuna chiarifica, filtrazioni limitate ed utilizzo dei legni misurato. In tutto fanno quasi 5 ettari vitati (un paio a Grignolino) e una produzione di quasi 15.000 bottiglie (3.500 di Marcaleone), a completamento Nebbiolo e Barbera (di cui vi racconterò in futuro). Le uve Grignolino provengono da un vigneto impiantato più di mezzo secolo fa, fermentano e affinano in acciaio inox (8 mesi circa), a cui si sommano 2/3 mesi in bottiglia. Abbiamo quindi a che fare con un vino giovane e di pronta beva… quindi niente indugi… e passiamo all’assaggio…

Alla vista si presenta magro e dinamico, limpido e luminoso vestito di un rosso rubino scarico con sfumature arancio. Un po’ lampone… un po’ ginger :-). Anche all’olfatto è piuttosto scarico, persistenza, intensità e profondità non sono caratteristiche che gli appartengono. Qui si punta maggiormente sulla freschezza e la fragranza, grazie ad una buona dose di acidità... Inizialmente pungente e vibrante, successivamente sottotraccia, a dar man forte alle delicate note di lampone, agrumi e una leggera speziatura. Il segreto del Grignolino sta tutto nella beva. Nella sua semplicità gustativa, si dimostra fin dai primi sorsi vino dalla spiccata bevibilità. Fresco, croccante, dinamico, acidulo, vivo, reattivo, slanciato, teso, tannico e vibrante. La sua naturalezza produttiva te la ritrovi nel bicchiere sotto forma di leggerezza e freschezza, così come una bella tensione minerale, che rendono la beva netta ed essenziale, a ricordarci il terroir di provenienza ed un'autunnale cartolina dal Monferrato. Gustoso ed appagante, pulito e mai grasso, è l’antitesi del vino moderno. Ogni volta che bevi un Grignolino, è un viaggio indietro nel tempo e il Marcaleone ne è un’ottima espressione. 

E’ vino da gustare e non da degustare, la sua essenza è ben rappresentata in etichetta, una bella tavola tra amici per un vino che esce dai salotti buoni, riappropriandosi della sua funzione alimentare e conviviale. Io l'ho bevuto con il coniglio alla ligure (anche se in verità più di mezza bottiglia é andata mentre il coniglio lo cucinavo..) ed é stata un'accoppiata felice, ma potete abbinarlo con molti piatti, soprattutto carni grasse e saporite, tipo il capretto al forno, ma anche con (alcune) tipologie di pesce e perché no, fresco durante le calde serate estive. 

Il Marcaleone é un vino da comprare in abbondanti quantità... tenetene sempre una bottiglia a portata di mano, una pausa rigenerante durante una giornata di lavoro nei campi... un amico che passa a trovarti durante l'ora di cena, o più semplicemente una bella passeggiata tra le vigne... un bicchiere di Grignolino, un "panozzo" con il salame, un bel pezzo di formaggio... e vi rimettete in pace con il mondo. Chiamatelo se volete (e non é un vezzeggiativo!) vino da pic-nic o da spuntino!! Per le accoppiate eno-musicali vi consiglio i conterranei Yo Yo Mundi. Sono alessandrini (Acqui Terme) e con il loro combat-folk, ben si sposano ad un combat-wine come il Marcaleone.

Da bere senza precauzioni, grazie ai pochissimi solfiti e ad una gradazione alcolica non eccessiva (12.5%vol.), ma anche grazie ad un prezzo accessibile… tra le 9-10 euro in enoteca, 7 in cantina... Considerando la futura apertura dell'agriturismo, penso di avervi dato più di un valido motivo per passare a trovare Eleonora e soci... 

Non tutti lo conoscono, non tutti lo amano, per molti un vino minore, per alcuni é un vino anarchico e dissidente, sicuramente "no-global" nel suo essere "viva" espressione territoriale, nel suo essere vino "non amologato". Se vogliamo vino "di nicchia" e anche per questo lo sentiamo un po' nostro e "Profondamente amato" (cit.)

lunedì 7 gennaio 2013

STAPPATI 2012... ECCO I MIGLIORI

10+1 LE PIU' INTERESSANTI BEVUTE DEL 2012

Con il 2012 in soffitta, anche qui a Simo diVino é tempo di bilanci. Non che ci sia molto da discutere, visto che sono l'unico a dover scegliere, ma ho voluto comunque proporre, un piccolo riassunto delle bottiglie più interessanti tra quelle stappate e recensite su questo blog. Non si tratta di una top ten o di una classifica e non ha pretese esaustive, non ho tenuto conto di assaggi volanti, fiere mercato e tavolate gogliardiche. Diciamo che si tratta di una selezione dei vini assaggiati dalla prima all'ultima goccia, vini di cui ho potuto farmi un'idea precisa e per molti di essi parlarne anche con i produttori. Eccovi quindi 5 bianchi, 5 rossi e un passito che hanno saputo segnare il mio 2012 enoico. Molti di voi li conoscono molto bene, per tutti gli altri qualche buon consiglio per il 2013 appena iniziato. (clicca sul nome del vino per leggere la recensione completa!!)

 

> COSTA DEL VENTO 2010 - Timorasso - Vigneti Massa  
Un tradizionalista-reazionario. Carismatico e passionale, un po' genio e sregolatezza, é lui l'uomo del rinascimento dei colli Tortonesi. Un vignerons vero senza compromessi. Walter Massa è il Timorasso nella sua eccezione più alta. Questo cru Costa del Vento ne é la dimostrazione. Scalpita come un puledro e si sente già che é un cavallo di razza. Sempre in continua evoluzione, ricco e vibrante. Vino verticale e tridimensionale.

 

> MANTONICOZ 2009 - I.G.T. Calabria - L'Acino 
L'Acino vini guarda al futuro partendo dal passato. Questo Montonicoz é una "piccola" gemma di "periferia", dove ormai nessuno, ci avrebbe più scommesso un centesimo. Un ettaro di vigna e un paio di migliaia di bottiglie. La Calabria del vino non raggiunge i grandi palcoscenici, ma nel piccolo sa esprimere delle chicche di rara bellezza. Leggero e bevibile ma con grinta e tensione minerale. Un tocco di rusticità ed eccovi un sincero "compagno" eno-gastronomico.. da bere a secchiate!

 

> BACCABIANCA 2006 - Tenuta Grillo 
Tenuta Grillo sta alla viticoltura come i Fugazi stanno al post-punk, sempre e comunque per la loro strada, vino o musica che sia... senza compromessi. Come é riportato in etichetta "Prima la vigna, poi lunghe macerazioni, lieviti indigeni, non filtrato". Per gli amanti dei vini "orange" il Baccabianca é ormai un classico, vino naturale e originale. Denso, terroso, erbaceo, ossidato, lento e sempre in evoluzione. Original Cortese.

 

> IL PIGRO 2008 - Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva D.O.C. - La Marca di San Michele 
2500 bottiglie, ricavate da una piccola parcella (poco più di un ettaro), costituita dalle vigne più vecchie e con la resa più bassa. Siamo a Cupramontana, patria del Verdicchio e i ragazzi de La Marca sanno affrontare la materia in modo attento e tradizionionale, etico e naturale. Il Pigro 2008 é tanta roba, te ne innamori al primo assaggio. Frutta secca, agrumi, note vegetali, energico e carico, importante. Manca in leggerezza e dinamicità é vero, ma se volete provare un gran verdicchio recuperatevi questo millesimo. Gran Cru.

 

> DONNA ORGILLA 2010 - Offida Pecorino D.O.C.G. - Az. Agr. Fiorano 
5 ettari vitati a biologico e il miglior Pecorino assaggiato finora. Quando si dice rapporto qualità/prezzo eccellente, penso al Donna Orgilla e la velocità con cui si esauriscono le bottiglie lo dimostra. Complesso, articolato, aromatico. Un ingresso sapido e asciutto lascia presto il passo ad un palato pieno, rotondo, polposo, prima di far uscire il suo carattere più acido, minerale e teso. Siamo in collina, ma questo Pecorino ci ricorda che il mare é vicino.

> NERO NE' 2005 - Taurasi D.O.C.G. - Il Cancelliere 
Quello che vorrei evidenziare del Nero Nè (almeno per questo millesimo) è una continua e presente sensazione di rusticità. Pur avendo a che fare con un vino nobile, si é scelto di puntura su un prodotto autentico e artigianale, sicuramente non sempre in perfetto equilibrio e con qualche imperfezione stilistica, ma va bene così, perché questo é "Il Cancelliere". Vignaioli d'altri tempi, che sanno regalarci un vino possente e vibrante, che sa essere (anche nelle sbavature) la perfetta sintesi del terroir e della cultura vitivinicola di provenienza. Un vino dal grande potenziale.

 

> KERAMOS 2004 - Cannonau di Sardegna Riserva D.O.C. - Tenute Soletta  
Azienda a conduzione familiare, 12 ettari vitati e 100.000 bottiglie prodotte. Il Keramos è il loro vino più importante e come in un tetris, ogni tassello si incastra alla perfezione e mantiene in equilibrio un vino che deve essere bevuto per essere capito in ogni sua sfumatura. Tecnicamente ineccepibile, sa essere alla moda e amato dai "3 bicchieristi", pur mantenendo i piedi ben saldi nella sua Sardegna. Caldo, avvolgente e rotondo, succoso, lungo e balsamico. Bello da bere. 

 

> FELIX 2008 - Toscana I.G.T. - Tenuta Montiani 
Il Felix é un vino freakettone... perché ti fa star bene e sa trasmettere allegria.. almeno.. questa é l'idea che mi ha lasciato. Sangiovese in purezza da San Polo in Chianti, ma niente Gallo Nero, son freakettoni e a loro il Gallo piace in multicolor. Associati a Vinnatur, lavorano a regime biologico certificato e fanno un vino buonissimo. Niente puzzette qui, il vino é perfetto, ha fragranza da vendere, una beva snella e un palato succoso e croccante. Il 2009 é ancora più fresco, amabile ed appagante. La più bella scoperta del 2012.

 

> GRATTAMACCO 2005 - Bolgheri Superiore D.O.C. - Collemassari 
Rimango in Toscana ma mi sposto a Bolgheri. Potrà stonare vedere un Supertuscan da enoteca in questa lista di vini (già vi vedo che storcete il naso!!), ma quando una cantina (Collemassari) lavora bene, bisogna prenderne atto e togliersi il cappello. Il Grattamacco é un grande classico di taglio bordolese con un pizzico di Sangiovese e se la gioca con i più grandi vini italiani. Una garanzia da tre bicchieri, un vino che sa esprimere cuore e cervello al posto dei muscoli. Vellutato, elegante, equilibrato, perfetto nella sua texture setosa. Quando penso ad un rosso dalla beva perfetta penso al Grattamacco. Seducente.

 

> IL ROSSO DELLE DONNE 2007 - Boca D.O.C. - Cantine del Castello Conti 
Potevo forse non menzionare il Boca "Junior" delle simpaticissime sorelle Conti? Attacca austero, ma lentamente sprigiona il suo lato più femminile e persuasivo. Un vino incredibilmente giovane e bevibile, anche quando passano gli anni. Le Cantine del Castello sono una piccola realtà artigianale, fortemente legata alle tradizioni e al terroir, una DOC storica, valorizzata da un approccio naturale e da sinergie culturali, che ne valorizzano ulteriormente il progetto. Come é scritto sulla retro etichetta, questo Boca é un "piccolo gioiello dell'enologia piemontese", abbiate solo la pazienza di saperlo aspettare

MOSCATO PASSITO AL GOVERNO DI SARACENA 2006 - Calabria I.G.T. - Feudo dei SanSeverino 
Per concludere segnalo questo incredibile Moscato Passito. Siamo in Calabria, ma quando immergi il naso nel bicchiere, la mente fugge dall'altra parte del Mediterraneo... tra l'amarognolo degli agrumi e il dolciastro dei datteri, tra le spezie orientali e "frizzanti" accenni pepati, miele e caramello, frutta secca tostata, mandorle e cannella. Emozionante. La degustazione si trasfoma in un viaggio senza ritorno nel souk di Fes... dal colore al naso, tutto rimanda a suggestioni marocchine, tra i mercati e i negozi, ricchi di fascino islamico e profumi orientali. E' un tesoro nascosto, prodotto solo a Saracena grazie ad un'antica ricetta millenaria. Gli serviranno 5 anni e vari passaggi in botte prima di arrivare sulla nostra tavola. Dichiarato "presidio Slowfood" e bene culturale immateriale della Calabria. La "chicca" dell'anno.

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Se avete passato uggiosi pomeriggi a consumare i vinili di Joy division, The Cure, Siouxsie and the Banshees, Bauhaus... non potete rimanere indifferenti al pinot nero di Voltumna.

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Serdiana prov. di Cagliari, a pochi metri da dove nasce il vino status symbol dell'enologia sarda, troviamo una bella realtà di bio-resistenza contadina...

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Una ribolla che è un soffio di vento... lontani anni luci dai bianchi "tamarrosi" a pasta gialla, tropicalisti, dolciastri, bananosi e polposi.

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...piccola, artigianale, familiare, storica… un passo indietro nel tempo... la bottiglia giusta per l'autunno che verrà...

FIANO DI AVELLINO 2012 - D.O.P. - Ciro Picariello

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Niente enologo, niente concimi, approccio artigianale e tanta semplicità affinché il vino possa esprimere al meglio il territorio. Se dici Fiano, Ciro Picariello è un punto di riferimento assoluto.

DOS TIERRAS 2011 - Sicilia I.G.T. - Badalucco de la Iglesia Garcia

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...una fusione eno-culturale vincente, un vino che intriga, incuriosisce e si lascia amare, un vino del sole e della gioia, della bellezza territoriale e popolare che accomuna Spagna e Sicilia.

RENOSU BIANCO - Romangia I.G.T. - Tenute Dettori

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...quello che entusiasma del Renosu Bianco è tutto il suo insieme, dalla sua naturalità alla sua originalità, mantenendo una piacevole semplicità nel sorso...

CINQUE VINI, TRE SORELLE, UN TERRITORIO > TUTTI I ROSSI DEL CASTELLO CONTI... IL POST DEFINITIVO

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Conosco e bevo "Castello Conti" da alcuni anni, e provo una profonda ammirazione per i loro vini e per il lavoro "senza trucchi" di Elena e Paola. Da una recente visita con degustazione presso la loro cantina di Maggiora, é nata una sorta di collaborazione appassionata, che mi ha permesso di gustare l'intera produzione di rossi del Castello, che oggi in questo mega-post ho il piacere di raccontarvi alla mia maniera...

ACQUISTI IN CANTINA... A VOLTE I CONTI NON TORNANO !!

ACQUISTI IN CANTINA... A VOLTE I CONTI NON TORNANO !!
da "Le vie del vino" di Jonathan Nossiter... < - In cantina questo Volnay, che qui é a 68 euro, ne costa più o meno 25. Quindi non sono i De Montille ad arricchirsi. Ma quando arriva a Parigi o a New York, il vino costa almeno il doppio che dal produttore. - Quindi per noi che abitiamo in Francia val la pena di andare a comprare direttamente da lui. - Si in un certo senso, il ruolo dell'enoteca in città è quello di aprirti le porte per farti scoprire il tuo gusto personale, e di esserti utile quando hai bisogno di qualcosa rapidamente. Poi spetta a te stabilire una relazione diretta con il produttore >

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!
...Anche se sono un po’ più giovane e indosso il parka con le pins non significa che entro per mettermi sotto il giubbotto le bottiglie di Petrus fiore all’occhiello della vostra enoteca, quindi evitate di allungare il collo o sguinzagliarmi alle spalle un commesso ogni volta che giro dietro allo scaffale.