martedì 25 settembre 2012

RUCHE' DI CASTAGNOLE MONFERRATO 2010 - D.O.C.G. - Az. Agr. Massimo Marengo

Può piacere o no, ma non lascerà indifferenti... potete amarlo oppure odiarlo, ma non scende a compromessi. Un vino sincero e con personalità.... e non dimenticate... a Castagnole si é soliti dire: "Se qualcuno vi offre un Ruchè é perché ha piacere di voi". Ecco io me lo sono comprato... ma se siete da quelle parti e una piacente signorina vi offre un calice di Ruchè... mmm... non siate timidi!!


Una cena al volo con un amico, dopo lavoro e ad ora tarda... abbiamo appena finito di lavorare all'allestimento del bellissimo chiostro di Voltorre (VA) per l'inaugurazione del centro ReMida (progetto dedicato al riciclaggio e recupero di scarti industriali per realizzare opere artistiche) che si terrà il giorno successivo... sono passate le 22.00 da un pezzo… ci fermiamo da me per una pizza al volo, un paio di birre e le ultime direttive per domani. Ebbene sappiatelo, quando si abita in un paesello di 5000 anime nelle prealpi varesine, é praticamente impossibile trovare una pizzeria d'asporto ad ora tarda, soprattutto in una serata infrasettimanale. 

Così un paio mollano il colpo e tornano a casa, pizzerie nelle vicinanze zero... rimaniamo in due più la mia compagna anche lei in dirittura d'arrivo verso casa... ok... "ghe pensi mi"... facciamo una pasta in cinque minuti... propongo la nazional-popolare aglio-olio e peperoncino, di quelle che vanno bene a qualsiasi ora e in qualsiasi circostanza. Poi ti ritrovi a casa bello affamato... il tuo amico-ospite é persona di buona forchetta e il giorno prima di ritorno dalla Costa Azzura ti ha portato una boccia di Bandol... che faccio il braccino corto con una misera aglio-olio e peperoncino? 

"Sentas giò...va"... meglio far tardi e rischiare di andare a letto "chini", ma facciamo le cose fatte come si deve, l’ospitalità è sacra… nel tempo più rapido possibile stappo una bottiglia di Ruchè , scanniamo un avanzo di pecorino sardo e metto in tavola due piattoni di pappardelle al ragù di fagiano. Forse un po' esagerato per uno spuntino delle 23.00?? Ragazzi... quando si ha fame, una buona compagnia e una boccia di rosso sul tavolo, credo sia doveroso non porsi problemi di salute, ciccia o digestione...

Così il nostro spuntino si trasforma nell'occasione per assaggiare e "ammazzare" questo Ruchè di Castagnole Monferrato, acquistato l'anno scorso alla fiera del tartufo di Moncalvo, direttamente dallo stand del sign. Marengo. I più attenti ricorderanno di aver già letto su queste pagine il nome dell'Az. Agr. Massimo Marengo, quando un anno fa vi ho raccontato della sua Barbera d'Asti... un'ottima bevuta, fresca e piacevole per una bottiglia pagata solo 4 euro e mezzo!!

Approccio quindi al Ruchè con grandi aspettative, vuoi per l'unicità di questo vitigno non famosissimo al di fuori del Piemonte… vuoi perché mi aveva piacevolmente sorpreso la Barbera… vuoi perché la cantina si trova proprio nel territorio di eccellenza del Ruchè, ovvero Castagnole Monferrato e questo vino rappresenta il "pezzo forte" della produzione vinicola dell' agricola Marengo. 

Vi rimando alla recensione della Barbera per le info relative a questa cantina (clicca qui) e sfrutto questo post per scrivere due righe in merito a questo vitigno poco diffuso, che qualche lettore "di passaggio" potrebbe non conoscere. Il Ruchè è un vitigno dalle origini piuttosto incerte, ma probabilmente arriva nel 18°sec. dalla Borgogna. Viene coltivato nel Monferrato Astigiano, inizialmente commercializzato come vino da tavola o venduta come uva da taglio. Solo con la vinificazione in purezza di questa uva, si sono definite le caratteristiche di questo vino, che si contraddistingueva dal resto dei vini bevuti abitualmente, tanto da essere definito dalla gente di Castagnole "il vino della festa". Nel 1987 viene così sancita questa piccola D.O.C. piemontese, che nel 2010 diventerà D.O.C.G. I numeri oggi parlano di 400.000 bottiglie commercializzate e una sessantina di ettari vitati, compresi nei comuni di Castagnole Monferrato, Grana, Montemagno, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi, tutti in prov. di Asti. La disciplinare prevede l'utilizzo di almeno il 90% di uve Ruché, "tagliabili" con un 10% di Brachetto e/o Barbera.

Questa versione di Marengo ricavata da una vigna di circa 4 ettari a Castagnole Monferrato, dimostra subito un carattere piuttosto forte. Nel bicchiere si presenta scarsamente denso, con un colorito rosso rubino piuttosto scarico con sfumature violacee. Al naso non fa sconti, parte subito all’attacco e ti satura le narici. Intenso, persistente e vinoso con forte sentore alcolico (14%vol.), lasciando in secondo piano i sentori speziati e le note erbacee-floreali, con poco spazio per la frutta. Anche al palato conferma un carattere “tosto”… fluido e sapido, secco ed alcolico, ha tannini da vendere e si fanno sentire. E’ quasi un vino d’altri tempi, rustico e forte… ma notate bene… ho scritto “forte” e non “robusto” o “muscoloso”!

Se amate i vini concentrati e marmellatosi, se vi piace il taglio bordolese o il vino langarolo di eleganza e finezza, lasciate perdere questo Ruchè. Non è un vino moderno, ne tecnico, nemmeno possiamo definirlo equilibrato… diciamo pure che non è un vino facile… è per stomaci forti… ma al contempo ha caratteristiche ben delineate e sicuramente non assomiglia a nessun altro. Può piacere o no, ma non lascerà indifferenti... potete amarlo oppure odiarlo, ma non scende a compromessi. Un vino sincero e con personalità.

Onestamente questa versione di Massimo Marengo è un po’ troppo carica, sicuramente schietta, ma un filo di equilibrio in più non avrebbe guastato, manca quel tocco di finezza e morbidezza che avrebbe garantito maggior facilità e piacevolezza alla beva. A parziale scusante, ci metto l’annata 2010 non proprio favorevolissima causa maltempo, con frutti non del tutto maturi e quindi zuccheri non abbondanti. Ne risultano vini magri, poco polposi, poco profumati e piuttosto pungenti. Magari qualche anno in più di bottiglia, avrebbe giocato a suo favore…. ci metto anche la cena preparata al volo, la bottiglia stappata e bevuta… un vino con questa intensità alcolica richiede almeno un’oretta di ossigenazione per “tranquillizzarsi” un pochino.

Resta comunque un vino da scoprire, probabilmente non vi conquisterà al primo sorso, farete un po’ fatica ad assimilarlo e a capirlo, ma bicchiere dopo bicchiere, riesce a farsi apprezzare e a convincere.

Abbinamento gastronomico obbligatorio con selvaggina assai "selvaggia" (diciamo in salmì…) oppure con del formaggio stagionato e saporito. Per chi ama ascoltare musica mentre sbevazza, ci sono 2 strade percorribili. La prima (sconsigliata), è agire in contrapposizione alle caratteristiche del Ruchè di Marengo... il che significa equilibrare il tutto “jazzando” qualcosa di tranquillo in sottofondo. La seconda (consigliata) è andare in sintonia con il vino, per valorizzarne il carattere. A questo punto dovete alzare il volume di qualche decibel (quanto basta per rendere impossibile la conversazione) e sparare un cd che sappia suonare spigoloso, potente, allucinato e al contempo vintage... ma che abbia stoffa all’orecchio dell’ascoltatore più attento e preparato in materia… direi che il primo omonimo album dei Queen of the Stone Age ci sta alla perfezione! 

Non sarà per tutti i palati, ma se amate vini rustici, sinceri e non omologati, qui cascate a fagiolo… e vi bastono solo 7 euro…. Magari provate altre annate meglio riuscite... Non dimenticate... a Castagnole si é soliti dire: "Se qualcuno vi offre un Ruchè é perché ha piacere di voi". Ecco io me lo sono comprato... ma se siete da quelle parti e una piacente signorina vi offre un calice di Ruchè... mmm... non siate timidi!!

giovedì 20 settembre 2012

VERMENTINO 2011 - Colli di Luni D.O.C. - Az. Agr. Il Monticello



...Anche se le vigne sono accudite in maniera molto “natur”c’è un approccio moderno, molto tecnico e scientifico nel seguire il processo produttivo del vino, si sente la mano dell'uomo, almeno più di quanto ti aspetteresti da un produttore che si definisce biodinamico...


Torno sul luogo del delitto alcuni mesi dopo avervi raccontato del buon Rosso Golfo dei Poeti di Andrea Kihlgren. Questa volta cambio tipologia, siamo in Lunigiana, terra di eccellenza del Vermentino dei colli di Luni., più precisamente a Sarzana, tra Liguria e Toscana, con il golfo dei Poeti e i suoi incantevoli borghi ad est, ad ovest si sale verso i monti delle Alpi Apuane e le cave di marmo carrarese, mentre a sud si sfocia nel mare a Bocca di Magra.

Su queste colline sorge Il Monticello, azienda vinicola bio-qualcosa, ma anche agriturismo con alloggio. Le origini di questa azienda agricola risalgono alla metà degli anni 80, quando un ingegnere elettronico la eredita e per hobby inizia a dedicarsi al piccolo vigneto esistente (circa 0.5 ha). Ben presto il sign. Pier Luigi Neri si rende conto delle potenzialità di questo territorio, inizia a produrre le prime bottiglie con buoni risultati, tanto da trasformarsi in “ingegnere viticoltore” a tempo pieno. 

Circa una decina di anni fa, prende forma e sostanza la tenuta "Il Monticello" così come la conosciamo oggi, grazie all'acquisto di altri terreni, la costruzione di una nuova cantina e il passaggio di consegne ai figli Alessandro e Davide. Ad influenzare le idee e il percorso enologico dei fratelli Neri, c'è l'incontro con il produttore piemontese Claudio Icardi, che ha indirizzato la cantina verso una valorizzazione del territorio puntando sulla viticoltura biologica, il recupero di vecchie piante e la sostenibilità ambientale. 

Oggi Il Monticello può vantare dieci ettari vitati su colline esposte verso il mare, composte da argille limo-sabbiose. I terreni vengono arricchiti con l'utilizzo di preparati biodinamici, compost e sovescio, mentre si ricorre all'esclusivo utilizzo di rame e zolfo per proteggere le viti, evitando l’utilizzo di qualsiasi prodotto chimico. Attualmente vengono prodotte tra le 60/70.000 mila bottiglie l’anno, con il Vermentino a farla da padrone, ma si sono ottenuti ottimi risultati anche con il rosso (Sangiovese, Ciliegiolo, Canaiolo, Pollera e Merla), il rosè e il pasito. Entrambi i vini (bianco e rosso) sono prodotti in due versioni, quella classica (come ad esempio per il Vermentino base,  affinamento solo acciaio) e quella più “importante”, prodotta in minor quantità e affinata in barriques (come il Vermentino Poggio Paterno). Negli ultimi anni l’ingresso in azienda come enologo Nicola Tucci ha ulteriormente definito e marcato lo stile dei vini del Monticello.

Anche se le vigne sono accudite in maniera molto “natur”, non mi sento di inserire questo produttore nella cerchia dei così detti produttori “naturali” (almeno per come li intendo io, essendo questo termine piuttosto vago e liberamente interpretabile…), in quanto c’è un approccio moderno, molto tecnico e scientifico nel seguire il processo produttivo del vino, si sente la mano dell'uomo, almeno più di quanto ti aspetteresti da un produttore che si definisce biodinamico... che tradotto significa bere un Vermentino stilisticamente preciso, diciamo una garanzia, ma senza quel tocco caratteriale che ad esempio contraddistingue i Vermentini di Santa Caterina. 

Passando al nostro Vermentino dei Colli di Luni 2011 (circa 46.000 bottiglie prodotte) di cui vi scrivo oggi, vendemmia realizzata in varie fasi nel mese di settembre, con resa tra i 70/80 ql/ha. Fermentazione a temperatura controllata e affinamento in inox per 5 mesi più un mesetto di riposo in bottiglia.

Acquistata e pagata 10 euro circa in un negozietto, mentre “bazzicavo” tra i vicoli dell’incantevole Tellaro… carina nell’estetica, la bottiglia in stile “alsaziano”, presenta una bella veste grafica modello “fatta a mano”, mentre sul retro, oltre all’etichetta di rito, c’è una seconda etichetta nera con scritto in bella evidenza “Noi non usiamo prodotti sistemici”. Mi gratta sempre un po’ il naso quando viene sbandierata la “naturalezza” del prodotto… sento puzza di marketing, ma devo ammettere che alla fine il vino l’ho comprato… quindi, anche se non mi piace, devo ammettere che la cosa funziona… 

Nel bicchiere color giallo paglierino con riflessi dorati, piuttosto brillante, leggermente velato e qualche particella in sospensione. E' un bianco che ha buona persistenza e freschezza, con una sottile venatura acida che lo rendono un filo pungente, almeno quanto basta per dargli un po' di carattere e grinta, al cospetto di un cuore fruttato e floreale che lo rendono più polposo e morbido. Un vino di pronta beva, mai stancante, che si “scola” con disinvoltura e piacevolezza. Tecnicamente ben fatto sempre in equilibrio tra il dolciastro della frutta, un bel finale amarognolo e una acidità fresca e vibrante che dona dinamicità e bevibilità. 

Nell'insieme un Vermentino senza grandi acuti, facile se volete, ma ben fatto e non banale, che farà felice soprattutto chi (come il sottoscritto), ama berli freschi e leggeri, con disinvoltura, nelle calde serate estive, sia come vino da accompagnamento ad un buon piatto di pesce o durante un aperitivo. 

Per gli amanti dell'abbinato eno-musicale.. beh... visto che siamo al cospetto di un vino Techno-Dinamico o Bio-Techno (o mio dio....), non vi resta che assaporarlo bello fresco in riva al mare, durante l’aperitivo, mentre muovete “il culo” su una base techno danzeraccia con stile… niente tamarrate tunz-tunz… ci vuole un tocco di classe e allora basta andare indietro di qualche anno e far risuonare quel capolavoro francese che è stato Homework dei Daft Punk. 
Che dire, passano gli anni ma questo album rimane sempre una garanzia… un po’ questo Vermentino, si va sul sicuro….

mercoledì 12 settembre 2012

KERNER 2011 - Alto Adige Valle d'Isarco D.O.C. - Pacherhof

...siamo al cospetto di un vino ben fatto e molto saporito, che sicuramente piacerà a molti.... però...quando si ha a che fare con vini così "abbondanti" nelle loro caratteristiche organolettiche, si finisce che non si finisce la bottiglia!!


Mi contatta un "enotecaro" (grazie Andrea) e mi chiede se sono interessato a scrivere delle recensioni in merito ad alcuni vini presenti nel suo catalogo. Bene... preso atto della più totale indipendenza stilistica nella scrittura e di giudizio sul bevuto, accetto di buon grado la proposta. Certo diventare un eno-giornalista e trasformare la mia passione in un lavoro, rimane un sogno, continuerò a timbrare il cartellino tutte le mattine quindi, ma almeno inizio a farmi qualche bevuta a "costo zero", il che non é male, visto che fino ad oggi (a parte un paio di gentili produttori e regali di amici) mi sono comprato tutte le bottiglie qui recensite e quelle che impazienti, attendono in cantina il loro momento. Appoggio quindi di buon grado l'idea di Andrea e mi appresto a degustare il Kerner che m ha inviato.

Avevo già raccontato alcuni mesi fa, dell'ottimo Sylvaner dell'Abbazia di Novacella, oggi ritorno sul "luogo del delitto", ma questa volta fisso lo sguardo più in alto, sopra il fiume Isarco e l'Abbazia, dove é situato il maso Pacher, antica dimora datata 1142, acquisita dalla famiglia Huber verso la metà del 1800. Il proprietario di allora, il sign. Josef, fu uno dei precursori e pionieri della viticoltura in Valle Isarco, introducendo nella zona di Bressanone alcune delle viti bianche attualmente più coltivate in quest'area, come il Sylvaner e il Muller Thurgau. 

Oggi il maso é una vera e propria tenuta, con tanto di albergo, centro benessere, ristorante e soprattutto azienda vitivinicola, che sotto la gestione del giovane Andreas, da vita a circa 70.000 bottiglie all'anno, realizzate con l'uva (rigorosamente a bacca bianca) raccolta dagli 8 ettari di vigneti che circondano il maso. Si punta quindi sulle varietà tipiche di questo territorio come il Kerner, il Sylvaner e il Riesling ma anche Pinot Grigio, Veltliner e Muller Thurgau. 

Il merito della famiglia Huber sta proprio nell'aver puntato su una viticoltura di qualità, riducendo all'osso l'ultilizzo della chimica e cercando di "pasticciare" il meno possibile in cantina, lasciando così inalterate le caratteristiche del vigneto. I filari sono ordinati e ben curati, completamente inerbiti e attualmente in conversione verso la coltivazione biodinamica. Situati ad un'altezza che varia tra i 6-700 metri, sono impiantati in un suolo che presenta una miscela di sabbia, ghiaia e minerali, mentre il microclima della valle, alterna notti fresche e perfino fredde, a giornate che da tiepide possono diventare anche molto calde, l'aggiunta di una buona ventilazione permettono la produzione di uve qualitativamente eccellenti e di buon carattere. 

Ne derivano vini dalla precisa cifra stilistica, che hanno permesso a Pacherhof di porsi al centro dell'attenzione e della critica, facendo "scorta" di tre bicchieri, soprattutto negli anni passati, quando le guide impazzivano per i vini fruttati, aromatici e strutturati di queste zone; fino a raggiungere l'apice nel 2006, quando il Gambero Rosso elegge Pacherhof cantina emergente dell'anno. 

Bando alle ciance andiamo ad assaggiarlo così ce ne facciamo un'idea... Nel bicchiere si presenta con un giallo paglierino molto scarico, fluido, leggero e di grande pulizia. Nell'osservarlo si ha la sensazione di un vino molto fine ed elegante, quasi timido, ma in verità é ingannatore rispetto a quello che ci attenderà al naso e al palato. Già perché qui abbiamo a che fare con un vino ricco di nerbo (questa bottiglia é un 2011 e forse pecca un po' in maturità) che ci invade con un bouquet intenso e grintoso, pieno e deciso, persistente con una spiccata vena alcolica (14%vol), che accompagna note di frutta dolce e agrumi, ma soprattutto una più interessante vena erbacea, passando dalle erbe aromatiche ai fiori di campo. Un bel naso, di sicuro impatto e subito coinvolgente. Al palato ottima corrispondenza "aromatica" con il naso... é un vino strutturato e sapido, riempie bene la bocca, risultando "masticabile" e polposo, più concentrato e grassoccio di quanto mi aspettassi. E' decisamente un gran bel vino, dopo il primo sorso arrivano naturali esclamazioni di consenso (il classico..." però... sti cazzi che vino!!"), fa subito centro e ci regala un finale lungo dove si intreccia il dolciastro zuccheroso del palato e un retrogusto amarognolo decisamente più minerale. 

Tutto bene quindi... direi di si, perché siamo al cospetto di un vino ben fatto e molto saporito, che sicuramente piacerà a molti. Devo però mettervi in guardia, perché a tutte queste caratteristiche manca un po' di equilibrio e freschezza. Non disdegno intensità e struttura, ma preferisco vini bianchi più freschi e dinamici, più adattabile ad una funzione "alimentare" e da accompagnamento, più da "gustare" che da "degustare". Con questo Kerner al quarto bicchiere ho tappato e messo in frigo la bottiglia. 

Quando si ha a che fare con vini così "abbondanti" nelle loro caratteristiche organolettiche, si finisce che non si finisce la bottiglia!! (scusatemi il gioco di parole), perché la beva risulta impegnativa e pesante. E' un giudizio personale più o meno condivisibile, come ho scritto sopra. Anni fa questa nota stilistica andava per la maggiore e il maso Pacherhof che é figlio della cultura vinicola di inizio 2000 sembra risentirne un po'. Se paragonato ad esempio all'ultimo bianco recensito su questo blog (il Verdicchio di Bucci), un grande vino nella sua semplicità, nel suo farsi scoprire poco a poco, tutto finezza, eleganza e leggerezza, con questo Kerner siamo esattamente all'opposto... due note stilistiche differenti (e sicuramente due terroir differenti), che ci regalano comunque due ottimi bianchi... sta a voi decidere, in base al vostro gusto e alla vostra esperienza da eno-appassionati, su quale cavallo puntare. 

Gastronomicamente é un bianco trasversale, da bere fresco ma senza esagerare, altrimenti rischiate di "chiuderlo" al naso. In virtù della sua "grassezza" meglio abbinarlo con piatti di pesce altrettanto grassottelli e saporiti, magari una fetta di salmone bella spessa, oppure un'orata grigliata o al cartoccio. In alternativa ben ci sta anche con un buon formaggio di malga, di quelli a pasta gialla che ti lasciano le dita unte.. e già che siamo in Sudtirol, come abbinamento ci calza a pennello. E' un vino ideale anche per una cena tra amici... entusiasma al primo sorso, bevendola in più persone si finisce subito la bottiglia, evitando il problema di "bevibilità" di cui ho scritto sopra, ma soprattutto... potete incuriosire i bevitori occasionali (magari del gentil sesso :-)) che sicuramente non hanno mai sentito nominare il Kerner, avendo bevuto solo Muller Thurgau e Gewurztraminer... potreste quindi riscuotere un certo successo....

Economicamente siamo sulle 16-17 euro in enoteca, ma con un po' di ricerca sul web potete trovare anche offerte più interessanti (miglior prezzo trovato dal sottoscritto 12 euro!), direi comunque che siamo su un rapporto qualità prezzo discreto.  

Onestamente non é la tipologia di bianco che preferisco, ma si sa che i vini dell'Alto Adige sono qualitativamente una garanzia e questo Kerner rimane tecnicamente un ottimo prodotto, se poi amate i bianchi "belli carichi", questo vino vi darà delle soddisfazioni.

P.S. Ringrazio Andrea per avermi dato l'opportunità di provare questo vino... se volete leggere la versione "easy" di questa recensione (ma ormai credo sia troppo tardi!!) o perché no, acquistare un paio di bottiglie da provare ... cliccate qui.

lunedì 10 settembre 2012

AULENTE 2010 - Rosso Rubicone I.G.T. - San Patrignano

...con 7 euro in tasca e tanta voglia di un vinello fresco per pasteggiare, ho altre cartucce da sparare... 


Ecco qua un vino romagnolo. Qualcuno mi ha dato dell'enosnob per aver degustato pochi vini di alcune regioni, ingiustamente definite "minori" all'interno del panorama enologico nazionale. Il problema ragazzi é ben diverso.... Non datemi dello snob, é che ci sono troppi vini per essere bevuti e raccontati tutti... 

In tutte le regioni italiane ci sono produttori eccellenti, non é un problema pescare grandi vini anche al di fuori del Veneto, la Toscana o il Piemonte. Quindi cari amici dell' Emilia Romagna, della Puglia, della Calabria... io i vini me li compro, non lavoro in enoteca e non faccio l'eno-critico di professione. Sono un semplice appassionato e non posso (per questione di tempo e soldi) stappare una bottiglia tutti i giorni e se compro un vino "caruccio" (dipende dalle tasche ma se passo le 20/30 carte per me son già vini che costano!) allora preferisco investire su vini che da tempo voglio provare o di cui ho sentito ben parlare da chi dico io. Claro? Se poi qualcuno mi vuol pagare per assaggiare tutti i vini in circolazione, sarò ben felice di non timbrare il più il cartellino tutte le mattine e dedicare le mie giornate a scrivere e raccontarvi dei vini di tutte le regioni... anche del Molise... che purtroppo ancora non é presente in questo blog! 

Così per "recuperare" a questo "problema", l'altro giorno ho deciso di provare questo Aulente, memore di una mail ricevuta in passato in cui mi venivano consigliate alcune cantine dell'Emilia Romagna, compresa San Patrignano, di cui tra l'altro ho spesso letto un gran bene. Ecco ragazzi ve lo dico subito... so bene che questa regione non é solo Sangiovese da circolo e Bonarda spumosa per pizzerie anni ottanta, so che in questa regione si producono vini di buon livello, come non ho dubbi sulle "decantate" eccellenze della cantina di San Patrignano (il Sangiovese AVI, ma anche l'internazionale Montepirolo e il mix del Noi). 

Io però ho assaggiato l'Aulente Rosso vino che piace a molti e ha un ottimo rapporto qualità/prezzo... ma che al sottoscritto non ha entusiasmato moltissimo. Ripeto, dico questo a scanso di equivoci e con tutto il rispetto possibile per questo territorio e per il suo Sangiovese. 

Faccio un po' di ordine e partiamo dalla cantina. Non sto a dilungarmi troppo, San Patrignano come comunità di recupero dalle tossicodipendenze sapete tutti cos'è (se ne é discusso molto anni fa... nel bene e anche nel male)... però non tutti sanno che con la morte di Vincenzo Muccioli, la comunità passa nelle mani del figlio Andrea, che da appassionato di vino, decide di dare vita ad una cantina. Una bella sfida, sicuramente vinta, grazie anche all'apporto tecnico dell'enologo Riccardo Cottarella e al contributo dei ragazzi della comunità, parte attiva nel processo produttivo dei vini di San Patrignano. 

Oggi questa cantina é diventata una delle più importanti e apprezzate. Pur non avendo una grande storia alle spalle, sono state bruciate le tappe, ed ora può vantare la bellezza di 110 ettari vitati sulle collini di Coriano (terreni argilloso-calcarei), tutte in conversione biologica, con spazio al Sangiovese e ad altri vigneti di taglio bordolese. Metteteci pure che 20 ettari, sono gestiti in biodinamica, impianti fotovoltaici, progetti di riciclo (come le vecchie barrique trasformate in opere di design), la scelta di valorizzare il terroir con un vino come l'Avi, un Sangiovese di Romagna in purezza affinato in botti grandi, la volontà di autofinanziare con il vino le attività della comunità. Tutto bene quindi, vini tecnicamente ben fatti, attenzione e rispetto al territorio, impegno sociale, riconoscimenti e premi a "grappoli"... 

Ci sono quindi motivi più che validi per provare un loro vino, decido quindi di partire dalla base con l'Aulente Rosso, un Rosso Rubicone I.G.T. del 2010 da 7 euro a bottiglia. Prodotto con il 100% di uve Sangiovese, raccolte tra settembre e ottobre nelle diverse vigne (che trovandosi in posizioni diverse possono maturare in periodi differenti), con una resa piuttosto bassa (50ql/ha). L'Aulente é un vino giovane e di pronta beva, che affina per pochi mesi (circa 3) in botti grandi prima di un veloce "riposino" in bottiglia. Lo porti a casa, stappi, bevi e non ci pensi più. 

Di color rosso rubino vivo, si presenta con un discreto naso, non molto fine, ma leggermente pungente (si sente la vena alcolica, 13.5%vol.), dove si esaltano i sentori fruttati (ciliegia) e floreali (viola e rosa), con buona persistenza. Al palato c'è buona corrispondenza con il naso, fresco, dinamico, giovane, discreto per corpo, con tannini ben in evidenza ma senza esagerare. 

Tutto bene quindi, può convincere e piacere a molti, soprattutto chi ama pasteggiare con vini non troppo impegnativi e strutturati. A me però non ha entusiasmato, ho trovato nella sua spiccata acidità (che solitamente é un punto a favore) la nota dolente di questo Aulente (scusate la rima :-)). Troppo presente, troppo in primo piano, manca un po' di equilibrio, ti rimane quel retrogusto acidulo nel finale che fa un po' effetto "vino novello". Non é una critica "tecnica", ma una sensazione personale, un giudizio di cuore. Ecco a questo vino, che già di suo, é molto semplice, diciamo "senza infamia ne lode", si aggiunge a giudizio personale queste piccola pecca che non me lo ha fatto amare. Ditemi voi se non ho colto in questa acidità la grandezza dell'Aulente o se avete avuto le mie stesse "fastidiose" sensazioni.

Vino ideale per accompagnare i piatti regionali romagnoli (io l'ho bevuto con il filetto di suino), ma anche con piatti semplici e caserecci come una bella teglia di lasagne al ragù. Siccome questo é un vino che non mi ha convinto, musicalmente ci piazzo in sottofondo qualcosa di regionale e un po' fastidioso, scegliete voi se puntare su Vasco o Ligabue, a me entrambi mi mettono acidità come questo Aulente. 

Spero in futuro di rifarmi e di riuscire a bere gli altri vini di San Patrignano, per avere un'idea più completa sui vini di questa cantina (ma credo di si, mi fido dei giudizi altrui). Per il momento con 7 euro in tasca e tanta voglia di un vinello fresco per pasteggiare, ho altre cartucce da sparare...

domenica 2 settembre 2012

VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI CLASSICO SUPERIORE 2010 - D.O.C. - Villa Bucci

E' un vino che potresti sottovalutare al primo impatto, ma che invece riesce a tenerti incollato al bicchiere come pochi e solo a bottiglia ultimata prendi piena coscienza della sua grandezza nella sua semplicità.


Sono appena rientrato da 18 giorni "the road" nel Messico centro-meridionale, un gran dispiacere essere rientrato, ma come sempre ad addolcire la fine di un viaggio e il rientro in Italia c'è la nostra amata eno-gastronomia. Non che in Messico si mangi male, tutt'altro, ma da "medio-man-italico" quale sono non posso resistere a lungo senza pasta e vino, anche perché in viaggio vige la regola che si mangiano solo piatti tipici e locali... Non mi azzardo mai con spaghetti e pizza fuori dall'Italia, ed evito per scelta etica catene multinazionali... quindi sono andato giù pesante di arrachera (che carne strepitosa!), quesadillas, fajitas, enchiladas, oltre agli immancabili tacos e tortillas. 

Così con il frigo completamente vuoto (immagine che mi mette i brividi), son dovuto correre all' Esselunga e riempire un carrello. Come sempre giro finale nella corsia dei vini, si sa mai che arrivi qualcosa di irrinunciabile....e....eccoti il Verdicchio di Bucci da 10 euro alla bottiglia in "saldo" a soli 7euro!! Affare fatto, é un prezzaccio, non mi resta che prendere un paio di bottiglie e metterle nel carrello.... dopo 18 giorni in cui ho bevuto con piacere solo Tequila e Mezcal (ho provato un paio di rossi made in Mexico, ma é meglio dimenticarli..) dovevo subito stappare una buona boccia di vino italiano. 

In virtù del caldo clima estivo, un Verdicchio fresco e dissetante é proprio quello che mi serviva. Vi racconti quindi del Verdicchio della prestigiosa cantina Bucci, da anni sugli scudi con il suo Verdicchio riserva, un must per tutti gli appassionati di questo vino. 

Ampelio Bucci é diventato un punto di riferimento tra i produttori dei Castelli, grazie anche al connubio con l'enologo Giorgio Grai, abile nel disegnare un Verdicchio inconfondibile e di grande personalità. Villa Bucci si estende per ben 400 ettari, diversificati in varie tipologie di colture. Di questi circa 31 sono destinati alle vigne (che garantiscono la produzione di circa 120.000 bottiglie), suddivise in Verdicchio per la produzione dei bianchi e Montepulciano/Sangiovese per la produzione del Rosso Piceno, tutte vigne che ha partire dagli anni 90 sono state convertite al biologico. 

E' sicuramente il Verdicchio il pezzo forte di questa cantina, prodotto attraverso l'assemblaggio delle uve provenienti da 5 vigne a bassa resa (70/80 ql/ha), situate in posizioni differenti e vinificate separatamente, che danno vita ad un vino tecnicamente ineccepibile, legato alla tradizione e al territorio. 

Come ho scritto sopra il prodotto di punta é la versione riserva, prodotta solo nelle annate qualitativamente valide e affinato per almeno 18 mesi in botti grandi, ricavandone un vino di grande longevità e fascino gusto/olfattivo. Nella versione base che ho assaggiato, abbiamo a che fare con un vino che sicuramente non raggiunge gli alti livelli del riserva, ma non deve essere considerato un prodotto "minore", perché ha una sua personalità, pur mantenendo quelle caratteristiche che rendono "singolare" il Verdicchio di Villa Bucci. 

Questa bottiglia, é una delle cose migliori che potete pescare dagli scaffali di un supermercato, elegante nell'estetica, affascinante nel sapersi rilevare sorso dopo sorso e commercialmente competitivo come pochi, nel rapporto/qualità prezzo. 

Ad osservarlo nel bicchiere si capiscono già molte cose... il colore é un giallo paglierino molto tenue, fluido, limpido e di grande pulizia. Già alla vista hai la sensazione di avere a che fare con un vino elegante e snello, per nulla carico e aggressivo.... e così sarà. Ficcate il vostro nasone nel bicchiere e ve ne accorgerete subito... al primo impatto risulta piuttosto scarico, denota una certa fragranza ma molto leggera, non c'è intensità e voglia di mettersi subito a nudo, vi serviranno parecchie "annusate" per coglierne a pieno il bouquet variegato e ricco di sfaccettature. Non va mai all'attacco, la sua vena alcolica importante (13.5%vol.) é appena percettibil e come i sentori primari di frutta matura... pere, mele e un filo di dolce dai richiami tropicali. Questo vino é un piccolo fiore e necessita di tempo prima di sbocciare e rilevarsi. Bisogna pazientare e perdersi nella sua delicata persistenza per cogliere quel filo di profumi perfettamente in equilibrio tra di loro. Mandorle e nocciole, note erbacee e agrumate, suggestioni "pasticcere" e vena minerale. Al palato é secco e leggermente sapido, decisamente snello e fresco, con una leggera sensazione amarognola iniziale che lascia spazio ad un finale assai amabile che richiama le note più dolciastre avvertite al naso. 

Delicato ed elegante, sempre in perfetto equilibrio, mai faticoso o stancante e tecnicamente ineccepibile. Vi servirà più di un bicchiere per coglierne l'evoluzione. Pur essendo un Verdicchio "base", abbiamo a che fare con un grande vino, che a differenza di altri suoi conterranei che amano "mettersi in mostra" e "alzare la voce", sa contraddistinguersi per una grandissima freschezza, eleganza, finezza e facilità di beva. 

E' un vino che potresti sottovalutare al primo impatto, ma che invece riesce a tenerti incollato al bicchiere come pochi e solo a bottiglia ultimata prendi piena coscienza della sua grandezza nella sua semplicità. Davvero ottimo nella sua categoria e non solo, servito fresco in una calda serata estiva può regalare grandi soddisfazioni. 

Regolatevi voi, attualmente é in saldo a 7 euro, roba da riempire il carrello, anche a prezzo pieno (10euro) rimane un vino dal rapporto qualità/prezzo invidiabile, ma se vi gira in tasca qualche soldino in più, consiglio di lasciare la moglie al supermercato e dirigervi all'enoteca più vicina per portarvi a casa la versione riserva, uno dei migliori vini bianchi che abbiamo in Italia. 

Con il Verdicchio di Bucci io ci abbino un bel disco dei Sigur Ros. Il post-rock quasi d'avanguardia, fine e rarefatto degli islandesi, richiama sconfinati paesaggi invernali e silenziosi. Penserete che ci azzecca poco con le colline dei Castelli, tra il verde delle vigne e il giallo dei girasoli. Ma le songs, sono prevalentamente strumentali, accompagnate da una voce sussurrata e malinconica che accompagna l'ascoltatore in un continuo crescendo emotivo. Questa é musica che necessita di continui ascolti davanti al caminetto per essere assimilata, fino a quando riuscirà a prendervi il cuore e a non lasciarvi più. Così i Sigur Ros come Villa Bucci, hanno ottenuto il successo e i riconoscimenti della critica, senza scadere nel commerciale, senza alzare il volume, ma facendo il percorso inverso, lavorare per detrazione, e lasciare che sia il fruitore a perdersi nel fascino delle parole e dei profumi appena sussurrati.

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da "Le vie del vino" di Jonathan Nossiter... < - In cantina questo Volnay, che qui é a 68 euro, ne costa più o meno 25. Quindi non sono i De Montille ad arricchirsi. Ma quando arriva a Parigi o a New York, il vino costa almeno il doppio che dal produttore. - Quindi per noi che abitiamo in Francia val la pena di andare a comprare direttamente da lui. - Si in un certo senso, il ruolo dell'enoteca in città è quello di aprirti le porte per farti scoprire il tuo gusto personale, e di esserti utile quando hai bisogno di qualcosa rapidamente. Poi spetta a te stabilire una relazione diretta con il produttore >

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!

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...Anche se sono un po’ più giovane e indosso il parka con le pins non significa che entro per mettermi sotto il giubbotto le bottiglie di Petrus fiore all’occhiello della vostra enoteca, quindi evitate di allungare il collo o sguinzagliarmi alle spalle un commesso ogni volta che giro dietro allo scaffale.