martedì 28 febbraio 2012

TORRETTE 2010 - Valle d'Aosta D.O.P. - Les Cretes

Sottotitolo... a cena da Oldani... il ritorno...
Con i suoi tenui ma al contempo leggermente spigolosi profumi e sensazioni gustative, riflette un immaginario fatto di terra povera e pietre, sole freddo e mani segnate dal lavoro in vigna.

In occasione del compleanno del sign. Luigi (a cui rifaccio gli auguri) si va a cena in quel di Cornaredo (MI) presso il D'o del famoso chef Davide Oldani. Se volessi raccontarvi della cena ci vorrebbe un post intero, tanto sono particolari ed emozionali i piatti proposti, quindi eviterò di dilungarmi troppo. Di Davide e della sua idea di cucina "Pop" ne avevo già parlato in passato, dopo la prima esperienza autunnale, che potete rileggere nella recensione del Vermentino "Solaris 2010".

Questa volta, considerando la tipologia dei piatti più "invernali" puntiamo su un vino rosso, fresco e di pronta beva. Molto velocemente, giusto per darvi un'idea, l'entrata é micidiale, perché Oldani ci propone quello che giustamente é diventato il suo cavallo di battaglia, ovvero la cipolla caramellata con pallina di gelato al grana padano su una base di crema calda sempre di grana. Poi é un crescendo continuo, i ravioli di manzo non sono da meno, il souflé di pane con radicchio e scaglie di cioccolato spacca, il bollito misto si scioglie solo a guardarlo e via con i dolci e bla bla bla... ci siamo scolati tre bottiglie di vino e chi si ricorda più tutti gli ingredienti, le riduzioni, le salse ecc...
Anche perché alla fine, chi legge il blog pur essendo appassionato di eno-gastronomia ben sa che qui si parla della parte eno e non di quella gastronomica, ma se siete interessati all'argomento, fatevi un giro nel web e ne trovate quante ne volete su Oldani e la sua cucina. Anche la carta dei vini é molto pop.. lista non da ristorantone per intenderci, e, a parte qualche chicca internazionale ed alcune bottiglie di alto livello, la carta presenta una cinquantina di vini senza grandi colpi di scena, con cantine piuttosto conosciute. Di positivo c'è il prezzo non esageratamente ricaricato considerando la nomea del posto, il servizio, il sommelier di sala ecc....

Quindi... vai con il vino... dopo due chiacchere con il sommelier di sala, decidiamo per il Torrette 2010 della cantina Les Cretes, famosa e conosciuta azienda vitivinicola della Valle d'Aosta, guidata da Costantino Charrère (con la famigliare collaborazione della moglie Imelda e delle due figlie Elena ed Eleonora), che accompagnerà meravigliosamente i piatti di Oldani, obbligandoci a chiedere il bis e anche il tris.

La cantina Les Cretes é da anni il simbolo della viticoltura valdostana, un esempio di tradizione e valorizzazione del territorio, a cui si aggiunge l'attenzione ambientale con il progressivo abbandono dei diserbanti, la sperimentazione del biologico in due vigneti, oltre al nuovo impianto di pannelli fotovoltaici e solari.

La famiglia che si occupa di agricoltura da 5 generazioni da vita a Les Cretes nel 1989, ed oggi vanta 25 ettari vitati in vari comuni della valle, per una produzione di circa 230.000 bottiglie, dai più autoctoni vitigni della zona (Petit Rouge, Fumin, Petite Arvine, Gros Rouge, Cornalin, Mayolet, Prëmetta) ad altri internazionali (Pinot Noir, Chardonnay, Syrah). Un bel esempio di come si possa dar vita ad una realtà vinicola importante, anche nei numeri e nell'utilizzo della tecnologia in cantina, senza snaturare il prodotto finale, mantenendo salda una filiera produttiva che porta alla realizzazione di vini che sanno esprimere al meglio la filosofia del vignaiolo e il terroir di provenienza.

Mentre il mondo del vino esaltava i Supertuscan, il brand e il gusto internazionale, la famiglia Charrère investiva e puntava su un territorio difficile e austero, una viticoltura di montagna che richiede sacrifici, sudore e dedizione, ma che come poche, riesce a regalarci vini di personalità e mai omologati. Credo che un ulteriore passo in avanti nell' abbandono della chimica e la conversione a biologico dei terreni vitati possa essere un ulteriore punto di forza dei vini di Costantino, che già gode di indiscussa stima per i molteplici "sbattimenti" nel recupero di vigneti autoctoni destinati a scomparire, come la Premetta e il Fumin, ma anche come presidente FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) e vicepresidente CEVI (Confederazione Europea Vignaioli Indipendenti).

Come ho scritto sopra, abbiamo gustato 3 bottiglie di Valle d'Aosta Torrette 2010, prodotto in 30.000 unità con prezzo di acquisto sulle 9-10 euro. Per realizzare questo vino vengono utilizzate uve Petit Rouge per il 70%, completato da un mix di uve locali come il Mayolet, il Tinturier, il Cornalin e il Fumin. Vendemmiate a metà ottobre, le uve vengono fermentate per 8 gg. in acciaio inox, con temperatura controllata sui 28-30 °C, con rimontaggi giornalieri. L'affinamento é di 8 mesi, sempre in acciaio.

Già nel bicchiere dimostra tutta la sua particolarità, con un colorito rosso rubino vivo, dinamico e brillante, fluido e snello. Al naso é fine e pungente, una vena alcolica decisa (13%vol.) ma mai invadente, sostiene un bouquet elegante e variegato, direi fragrante, grazie alle spiccate note floreali di violetta e rosa, ma anche frutta a bacca rossa e una leggera speziatura di fondo. Al palato si dimostra vino di pronta beva, decisamente elegante e fine, fresco e minerale con sottile vena acidula, risultando croccante e succoso, con una chiusura snella che richiama le sensazioni olfattive.

Un vino giovane e di pronta beva, ideale per accompagnare piatti non esageratamente forti e saporiti. Con la delicata cucina di Oldani, un rosso strutturato e corposo sarebbe stato eccessivo, invece questo "intrigante" Torrette é stato un valido compagno di viaggio, mai invasivo e faticoso, ha saputo accompagnare ed esaltare ogni singolo piatto.

Mi ha particolarmente colpito la sua capacità di essere semplice e di grande bevibilità, senza risultare mai banale o anonimo. Anzi, ha dimostrato di saper esprimere al meglio il terroir di provenienza. Con i suoi tenui ma al contempo leggermente spigolosi profumi e sensazioni gustative, riflette un immaginario fatto di terra povera e pietre, sole freddo e mani segnate dal lavoro in vigna. Finalmente un vino che non va alla ricerca della polpa, della dolcezza, della potenza.

Dall'antipasto al dolce... i piatti degustati al D'o

In attesa di gustarmi gli altri vini proposti da Les Cretes, mi ri-ascolto i Velvet Underground. La band di Lou Reed come il Torrette ben rappresenta il terroir di provenienza, con i suoi rimandi newyorkesi, ma soprattutto con un rock che anziché puntare sull'amplificatore, gioca su una apparente leggerezza, per regalarci perle di poetica acidità urbana. Come i vini di Costantino, hanno saputo regalarci "un altro" rock, mai banale e spesso dissonante dalla cultura freakettona del tempo.

I vini di montagna sanno sempre stupirci...mentre canticchio rauco Sweet Jane...cin cin... e alla prossima avventura sia con i vini de Les Cretes sia con i piatti di Oldani.

venerdì 24 febbraio 2012

RIPASSO 2007 - Valpolicella Classico Superiore D.O.C. - Aldrighetti

...buon equilibrio tra robustezza e bevibilità, non risultando mai banale e facilotto ma rustico e territoriale, mantenendo il suo carattere fino all'ultima goccia.


E’ con  immenso piacere e devozione che torno a parlare di Aldrighetti e dei suoi vini, spesso protagonisti nei post di Simodivino (ho già scritto in passato del suo Amarone, ma ritorna anche negli eno-racconti “La Terra Trema” e “Arriva Natale...la tredicesima buttiamola nel vino”). Anche se é un piccolo produttore,  probabilmente poco conosciuto ai più, sicuramente riscuote grandi consensi tra gli eno-appassionati che frequentano la Terra Trema, visto che il suo banco assaggi è sempre affollato e se arrivi tardi… del suo Amarone non ne rimane nemmeno una goccia!

Questa piccola azienda agricola di Lorenzo e Cristoforo Aldrighetti occupa 4 ettari di vigneto nel comune di Marano (Verona) ed é gestita a conduzione familiare e tradizionale, per una produzione di circa 10.000 bottiglie l’anno, dall'Amarone al Recioto passando dal Valpolicella. Davvero una bella espressione del territorio, una cultura vinicola tramandata da generazioni che é ben rappresentata dal sign. Aldrighetti “il grande vecchio della Valpolicella”  (così mi piace affettuosamente definirlo) che ritrovo ogni anno al Leoncavallo, apparentemente quasi timido e fuori luogo, ci delizia con il suo Amarone, proposto come se fosse il più semplice dei vini, ad un prezzo che non teme rivali in rapporto alla qualità del prodotto.

Quest'anno ho deciso di provare il suo Ripasso, vino forse poco capito, ma che il sottoscritto beve sempre con gran piacere. Il Ripasso Aldrighetti viene prodotto come tradizione comanda, ovvero il classico mix delle 3 autoctone uve della Valpolicella (Corvina, Rondinella e Corvinon). La raccolta manuale delle uve avviene nella prima metà di ottobre, con vinificazione in acciaio, prima della rifermentazione sulle vinacce dell'Amarone (il così detto Ripasso…). L'affinamento in botti di rovere grandi é di 2 anni, mentre in bottiglia riposa per 3 mesi. Nel bicchiere spicca per concentrazione e per il colorito rosso granata molto carico, con unghia rosso rubino.

Al naso attacca in sordina, ma dopo un paio di rotazioni sprigiona tutta la sua forza, con bouquet pieno e vinoso, dalla vena alcolica marcata (14%vol), prima di aprirsi e far uscire pungenti note speziate e più dolci aromi fruttati. Alla beva, nonostante sia un vino di corpo e struttura, risulta assai piacevole e godibilissimo. Alcolico e potente in ingresso, ma anche amabile e succoso al palato, grazie ad un tannino rotondo che lo rendono caldo e avvolgente. Io lo trovo ideale soprattutto a tavola, grazie al suo buon equilibrio tra robustezza e bevibilità, non risultando mai banale e facilotto ma rustico e territoriale, mantenendo il suo carattere fino all'ultima goccia.

In tutto questo metteteci una bella veste grafica e un prezzo  abbordabilissimo (7 euro) per un vino che non sfigurerebbe in una degustazione alla cieca con altri Ripasso più blasonati.

Davvero un piacere comprare e bere i vini dell' Aldrighetti e un ringraziamento va anche agli organizzatori de La Terra Trema per averci permesso di scoprire questa piccola, grande famiglia di vignaioli. 

mercoledì 22 febbraio 2012

UNO DI OTTO 2005 - Sagrantino di Montefalco D.O.C.G. - Tenuta Alzatura

...Pur non essendo un vino emozionale (parlo a titolo personale sia chiaro..), con la sua calda ed equilibrata potenza, consiglio di berlo lentamente davanti al caminetto, durante una gelida e grigia domenica invernale... non per meditare o lasciarvi a facili effusioni con la vostra compagna... ma da bere soli e un po' incazzati, mentre in sottofondo gira malinconico il cd "Grace" di Jeff Buckley. Così questo Sagrantino, può scaldarvi il cuore.


Questo è il racconto di un Sagrantino di Montefalco, ma anche di un pranzo domenicale regalato e deliziosmente consumato presso il (consigliatissimo) ristorante "Antica Osteria Italia" di Cocquio Trevisago (VA). Ambiente caldo e accogliente, curato ma non eccessivamente elegante, allestimento più da enoteca che da ristorante, bottiglie e cassette di legno (con predominanza di Grattamacco, (evidentemente piace da queste parti...) sparse ovunque, rustici tavoli in legno e un "vecchio" camino a scaldare l'ambiente. 

Il menù é assai invitante, soprattutto nella ricerca della materia prima, sempre particolare e di qualità (la mia tartar di filetto battuta al coltello era una bomba). Fa un po' strano che in un posto così, la carta dei vini sia piuttosto semplice e poco ricercata. C'è un po' di tutto, ma niente di entusiasmante, i vini Toscani rappresentano quasi la metà della carta dei rossi (solo 4 piemontesi e neanche un Barolo!!), le cantine scelte sono le solite note, come spesso capita di ritrovare nelle carte dei ristoranti. A favore del gestore, la scelta di applicare comunque prezzi consoni e mai esageratamente ricaricati. 

Alla fine opto per un Sagrantino di Montefalco, non lo bevevo da un pezzo e il prezzo (30euro) é piuttosto onesto, senza contare che non volevo ricadere su uno "scontato" I.G.T. toscano con dentro tante belle uve internazionali. Rimane la sensazione di una carta dei vini fatta da un rivenditore più che da un sommelier, ma a parte questa considerazione l'Antica Osteria Italia rimane un ristorante qualitativamente valido, ideale per una cena ben fatta, quindi l'obbiettivo é tornarci.... 

Entriamo nell'argomento Sagrantino... (l'unico della lista quindi non c'è molto da scegliere) é della Tenuta Alzatura e si chiama Uno di Otto. Nome strano, che in seguito scoprirò variare a seconda delle annate (questo ad esempio é un 2005, mentre il 2004 si chiama Uno di Sette). 

Questa tenuta di Montefalco che produce solo due vini (il Sagrantino e il Rosso) è di proprietà della famiglia Cecchi, l’industria del vino toscana, i cui vini base (dal Chianti al Morellino) ritroviamo spesso sugli scaffali del supermercato. Oltre 7.000.000 di bottiglie prodotte a cui se ne aggiungono alcune migliaia, provenienti da 4 tenute (Alzatura a Montefalco, Villa Cerna a Castellina in Chianti, Castello Montauto a San Gimignano e Val delle Rose in Maremma). Così, verso la fine degli anni 90, la famiglia Cecchi decide di investire a Montefalco, che negli ultimi 20 anni si è posta al centro dell’attenzione (e di vendita) grazie alla qualità indiscussa delle sue uve. Per farla breve, il Sagrantino é un ottimo vino che si vende bene, quindi perché non acquisire una bella tenuta di 18 ettari con tanto di vigneti a Montefalco??. 

Per la produzione di questo "Uno di Otto" 2005, commercializzato in 20.000 unità, vengono utilizzate esclusivamente uve Sagrantino, vendemmiate nella seconda metà di ottobre con raccolta manuale delle uve. La fermentazione avviene in tini di acciaio a temperatura controllata (30° circa) per una durata di 26 giorni. L'invecchiamento avviene in barriques di rovere per 16 mesi, mentre l'affinamento in bottiglia dura 8 mesi. 

Ci viene servito il vino, che alla vista spicca subito per consistenza e concentrazione. Impenetrabile nel suo rosso rubino scuro e carico con riflessi granata. All’olfatto non è da meno, intenso e deciso, persistente e vinoso con una marcata vena alcolica (14.5%vol.). Piuttosto tosto e un po’ chiuso (probabilmente a causa della mancata ossigenazione), nel corso della degustazione si apre all'olfatto, lasciando trapelare note di frutta a nera (more e prugne), sentori di spezie (pepe e vaniglia) e una punta di tostato che ricorda il tabacco, il caffé e il cuoio. Diciamo che si lascia apprezzare più per potenza e "pienezza" che per eleganza e finezza. Al palato conserva una marcata sensazione di robustezza. Se vi piacciono i vini tosti questo Sagrantino non vi lascerà insoddisfatti. Deciso, sapido e teso. Il tannino è ben marcato, ma sa essere anche avvolgente, regalandoci un vino “muscoloso” ma assai piacevole, caldo, denso e di corpo. Il finale è lungo e persistente con sensazioni speziate che si alternano al “dolce” ricordo della frutta nera precedentemente avvertita al palato.

Nell’insieme un bel "vinone", che punta più sul fisico che sul tocco di classe, ma che sa dimostrarsi piacevole e tutto sommato equilibrato, austero ma non troppo. Un vino completo e strutturato, di corpo e rotondità, che può tranquillamente riposare in cantina per anni.

Forse gli manca anche un filo di rusticità, nel senso che rimane la sensazione di avere a che fare con "un’idea di vino". E’ difficile da spiegare, ma ci sono vini che quando li assaggi ti danno subito l’idea della vigna, del lavoro e della terra, mentre altri, nella loro precisione, sembrano mancare in emotività e ti lasciano l’immagine del sommelier durante una degustazione al grand hotel....e questo è un po’ l’effetto negativo che mi ha trasmesso l’Uno di Otto. Per il resto, tecnicamente ineccepibile.

Lasciar ossigenare almeno un’oretta e servire a 18-20°C. in abbinamento a piatti particolarmente saporiti. Il prezzo di acquisto è impegnativo (in enoteca viaggia tra le 20-25 euro), direi il giusto per questa tipologia di vino (Sagrantino), anche se sicuramente ci sono cantine più interessanti

Pur non essendo un vino emozionale (parlo a titolo personale sia chiaro..), con la sua calda ed equilibrata potenza consiglio di berlo lentamente, magari davanti al caminetto, durante una gelida e grigia domenica invernale... non per meditare o lasciarvi a facili effusioni con la vostra compagna... ma da bere soli e un po' incazzati, mentre in sottofondo gira malinconico il cd "Grace" di Jeff Buckley. Così questo Sagrantino, può scaldarvi il cuore. 

Per chi ama i vini potenti…

sabato 18 febbraio 2012

VUOI SAPERE COSA BEVI?? SU LA MANO PER L'ETICHETTONA!!

...affinché si possa continuare a vivere ed apprezzare il vino con "naturale" passione e fatica, come quella impiegata quotidianamente da alcuni produttori di vini “veri”. Questa e la magia del vino e non il retrogusto di liquirizia dell’ultimo supervino da meditazione (che poi ti viene il cerchio alla testa da quanto mediti...). 


Neanche a farlo apposta ho finito di scrivere questo post mentre la commissione europea discuteva sull'annosa questione legata al vino biologico. Così ho salvato il post e lasciato il tutto in stand-by. Meglio attendere le decisioni definitive di Bruxelles. 

Sono anni che si attende una normativa in merito, ma come spesso accade alcuni "interessi" prevaricano sul buon senso e il bene collettivo.. così ci si aspettava una svolta epocale ed invece ecco un sasso gettato nello stagno.. Riassumendo velocemente, dalla vendemmia 2012 è possibile riportare in etichetta la dicitura “Vino biologico”, mentre fino a d oggi ci si limitava alla dicitura “Vino ottenuto da uve biologiche”. Non una grande differenza a colpo d'occhio, in particolare per il consumatore meno attento o interessato all'argomento. In verità mentre in passato si certificava a biologico solo la coltivazione delle uve (quindi pensavi di bere sano perché leggevi bio, ma poi in cantina era tutto un mistero..), oggi si riconosce come biologico tutto il processo produttivo, comprese quindi le pratiche enologiche, ponendo limiti ben precisi sulla tipologia e quantità di sostanze autorizzate. Dai, é già qualcosa... ma ci vorrebbe di più...

Senza voler entrare troppo nei dettagli (anche perché sono argomenti tecnici che conosco fino ad un certo punto, non essendo un produttore ma un bevitore…), la prendo un po’ alla larga... perché credo sia doveroso avere un approccio non solo tecnico e legislativo sulla questione... non sentire solo la voce dei produttori che spesso "impazziscono" dietro a tutta questa burocrazia, e fare una mia (forse banale e semplicistica) analisi da consumatore.

Parto da una osservazione.... oggi si beve molto meno vino e non c’è bisogno di numeri per dimostrare quanto sto dicendo, basta dare un occhio alle nostre tavole. Su quella di mio padre e di mio nonno il fiasco di vino non manca e non è mai mancato. Vino rustico comprato in damigiana e imbottigliato in cantina. Non c’è giorno, pranzo o cena che sia, senza un bicchiere di rosso. Mi dicevano sempre che uno o due bicchieri mentre si pasteggia si possono bere tranquillamente, anzi, dicevano "é tutta salute!". Oggi invece si fanno una o due "stappate" alla settimana, magari perché hai un amico invitato a cena o perché è venerdì sera e dopo una settimana di lavoro vuoi rilassarti gustandoti una bella bottiglia. 

Questa semplice osservazione mi porta a tre considerazioni. Innanzi tutto la perdita del quotidiano rito di farsi un bicchiere di vino durante i pasti, il rendermi perfettamente conto che (costi a parte) con gli odierni vini, sarebbe impensabile farne un uso quotidiano, determinando così la perdita di un concetto base, ovvero considerare il vino per quello che è, un alimento. Anche in tempi di guerre  e carestie, al buon partigiano un tozzo di pane e un bicchiere di vino non si negavano mai, erano considerati la base della nostra alimentazione, mentre oggi é un extra che esula dalla quotidianità.  

Quindi a scanso di equivoci, anche se siete così “fighi” da stappare solo bottiglie di Gaja, non dimenticatevi mai che il vino è prima di tutto un alimento, come tutti i generi alimentari che compriamo quando andiamo a fare la spesa. E bene cosa obbligatoriamente deve comparire sulla confezione di un genere alimentare? L’etichetta. Esattamente, proprio per legge è obbligatorio che ci sia un’etichetta indicante non solo la data di produzione e di scadenza, ma anche tutta una serie di informazioni relative al prodotto, dalla tracciabilità (ovvero il percorso fatto da quell’alimento), alla lista degli ingredienti, fino ad arrivare ai conservanti, agli additivi chimici e quant'altro. Allora sorge spontaneo chiedersi per quale motivo sulle bottiglie di vino non debbano comparire le informazioni che per legge compaiono su tutti gli altri prodotti alimentari. Se c’è un vero motivo “non commerciale” vi prego di farmelo sapere perché lo ignoro.

Ok, il vino è il più “particolare” tra gli alimenti ma credo sia corretto e doveroso informare il consumatore su cosa sta acquistando e bevendo, pretendendo conseguentemente, l’etichettona sulla bottiglia. E’ chiaro che considerando tutto il processo enologico, a partire dalla vigna fino ad arrivare all’imbottigliamento, le informazioni da riportare sono tante, ma credo che, pur senza menzionare vita morte e miracoli, si debba quantomeno informare chi acquista una bottiglia (magari anche prestigiosa e costosa) su cosa realmente è stato utilizzato nel processo produttivo. Spiacente, ma molti di voi rimarranno sorpresi nello scoprire la quantità di ingredienti e additivi utilizzati per produrre alcuni grandi vini. 

L'etichettona, per quanto anti-estetica, può essere un buon esempio di "corretta informazione", soprattutto indicando oltre agli additivi contenuti, la quantità impiegata, perché la trasparenza sta proprio qui, nel poter cogliere la differenza tra produttori naturali e convenzionali anche in base alle alterazioni del vino, indipendentemente che ci sia in bella vista la dicitura "Vino Biologico". Faccio un esempio... noterete che quasi tutte le bottiglie riportano la dicitura “contiene solfiti” sia che si parli di produttori naturali o convenzionali. Il punto é che nessuno conosce la quantità... C’è chi utilizza il quantitativo minimo indispensabile e chi invece utilizza il quantitativo massimo concesso dalla legge (e anche di più...). Eppure la dicitura in etichetta è identica, ma credo ci sia una bella differenza tra un biodinamico che utilizza poca solforosa perché osserva una pratica enologica sana e un produttore che "ci da dentro" perché vinifica uve poco sane o vuole dare al proprio vino lunga vita…. Perché quindi, non inserirne il quantitativo? Perché con un Ansonica da 14% della’ az. Il Cerchio bevo, digerisco e sto sereno mentre con altre bottiglie della stessa gradazione alcolica e tipologia mi prende il classico “mal di capoccia”? 

Senza tediarvi troppo con un listone infinito, ecco alcune delle sostanze contenute nel vino e che ci vengono nascoste proprio perché non sono riportate sull’etichetta: metabisolfito, carboni attivi, antiossidanti, sostanze illimpidenti, lieviti per la vinificazione, chiarificanti, acidificanti, disacidificanti, resine, gomma arabica, trucioli di rovere, caramello, concentratori, stabilizzatori e molti altri ancora .. (senza contare altri "ingredienti" non consentiti) utilizzati sia per la conservazione che per standardizzare il prodotto e avere un vino che abbia ogni anno lo stesso sapore, aroma, odore.

Quindi cari amici consumatori, se mai un giorno entrasse in vigore l’obbligo di riportare tutti gli "ingredienti" con le rispettive quantità, preparatevi ad una vera e propria rivoluzione estetica delle etichette e mi raccomando, non rimaneteci male se acquistando il vostro vino preferito scorgerete un papiro lungo come tutta la bottiglia al posto della retro-etichetta. 

L’etichettona premierebbe chi opera in maniera onesta e rispettosa dell’ambiente, delle pratiche enologiche e del consumatore. Penso alla categoria dei produttori naturali, gli unici che potrebbero permettersi delle retro-etichette piccole, semplicemente  perché fanno il vino come normalmente andrebbe fatto, evitando di alterarne il gusto per compiacere il consumatore o farlo resistere il più possibile sugli scaffali del supermercato. 

Non é mia intenzione far passare alla gente la voglia di bere il vino, ne dire che il vino fa male alla salute o fare “promotion” ai produttori naturali, ho scritto questo post affinché si possa continuare a vivere ed apprezzare il vino con "naturale" passione e fatica, come quella impiegata quotidianamente da alcuni produttori di vini “veri”. Questa e la magia del vino e non il retrogusto di liquirizia dell’ultimo supervino da meditazione (che poi ti viene il cerchio alla testa da quanto mediti...). 

Quindi per quanto mi riguarda, voto si all'etichettona. Poi come sempre, l'unica garanzia è conoscere il produttore e la sua onestà nel fare il vignaiolo.

p.s. Molti in questo post non hanno trovato nulla di nuovo, probabilmente state pensando che sono argomenti ormai stra-dibattuti... ma so che ci sono lettori e consumatori, a cui piace bere il vino, ma (proprio a causa della mancanza dell'etichettona!!) sono meno informati sull'argomento. Questo post spero sia per voi, un utile spunto ad un acquisto più consapevole.

mercoledì 15 febbraio 2012

LAMAIONE 2006 - Toscana I.G.T. - Marchesi de' Frescobaldi

...è un pugno in faccia ma che non fa poi così male. Al palato si conferma un “vinone” tutto di un pezzo, un mister muscolo ma dal cuore tenero... rimane la sensazione (un po' superata) del grande vino. Merlottiani fatevi sotto… tutti gli altri nelle Langhe.


Da un vino naturale ad un Supertuscan il passaggio non è poi così breve, le differenze ci sono e si sentono. Bene, le variazioni  servono per affinare il gusto e soddisfare la mia sete di conoscenza. Non si può soffermarsi solo sui così detti vini “naturali” come non si possono bere solo vini ”industriali” e “moderni”. Occorre predisposizione e apertura mentale. 

Capita così, che mentre vado  all’acquisto e alla scoperta dei vini naturali, qualcuno (grazie Vera!) ti regala una  boccia di rosso toscano, che sembra andare in ben altra direzione e con ben altro stile rispetto ad esempio al Baccabianca dell’ultima degustazione. 

Il vino in questione si chiama Lamaione, annata 2006, prodotto dai Marchesi de Frescobaldi presso la tenuta di Castelgiocondo a Montalcino. Parliamo di una grande cantina, direi un’industria del vino da 9.000.000 di bottiglie l’anno, dai più commerciali ed economici vini da supermercato (vedi il Remole), fino alle eccellenze prodotte nei 5 poderi situati nelle aree a maggior vocazione vinicola della Toscana, come il Luce, il Mormoreto, e questo Lamaione, pecora nera (o fuoriclasse...) di Castelgiocondo dove Frescobaldi produce il Rosso e il Brunello. 

Certo una domanda mi sorge spontanea… ma come si fa nella patria dell’autoctono e pregiato Sangiovese grosso, decidere di occupare 12 ettari di terreno a Merlot? Eppure succede anche questo e onestamente i risultati sono piuttosto convincenti. L’idea di base credo sia stata proprio quella di dare vita ad un vino di importanza e prestigio internazionale (un fuoriclasse...), creare un must per "colpire" il mercato USA, tenere testa ai francesi e attirare l’attenzione della critica, come si usava fare, soprattutto in Toscana negli anni 80. 

Il Lamaione è un Merlot in purezza, proveniente da 12 ettari di vigneto con densità di impianto di 5.500 viti/ha. La vendemmia del 2006 é stata eseguita ad inizio settembre, con fermentazione in vasche di acciaio per 12 giorni e un mese di macerazione. Da buon Supertuscan l'invecchiamento non poteva che essere in barriques di rovere francese nuove per 24 mesi, a cui segue un anno di affinamento in bottiglia.

Basta uno sguardo al bicchiere per capire cosa ti aspetta, denso e viscoso, impenetrabile, di un rosso rubino scuro e inchiostrato con riflessi che tendono al porpora. Al naso è vinoso e potente, intenso e persistente, con una vena alcolica decisa (ben 15%vol.) ma mai invasiva o spigolosa, anzi il bouquet è rotondo ed equilibrato, con sentori primari di frutta rossa e nera (more, amarena, prugna) a cui seguono le note speziate (pepe, cannella, tabacco) e quelle varietali come vaniglia e cacao, che stemperano e ammorbidiscono il tutto. Per rendere l’idea è un pugno in faccia ma che non fa poi così male. Al palato si conferma un “vinone” tutto di un pezzo, un mister muscolo ma dal cuore tenero. Sa essere robusto, tannico, denso, caldo, profondo, ma in seconda battuta abbassa la cresta e una volta “fatta la bocca”  potete gustarvi un rosso tosto ma rotondo, dove i tannini sanno essere importanti ma anche caldi e vellutati, polposo e piacevole. Ha il pregio di non risultare faticoso alla beva, l’importante vena alcolica non infastidisce mai, risultando un vino di corpo, struttura e longevità, per una degustazione in continua progressione. Il finale è lungo, persistente e profondo con un piacevole richiamo alle sensazioni olfattive. 

Questo Lamaione mi ricorda concettualmente il Summus di cui ho parlato qualche mese fa. Entrambi Supertuscan palestrati... ma mentre il blend di Banfi è tutto centrato sul concetto di vino potente, tanto da risultare pesante e faticoso alla beva (insomma non mi è piaciuto un granché), il Merlot di Frescobaldi riesce ad essere più equilibrato e gradevole, risultando piacevole alla beva e mai stancante. Attenzione alla gradazione alcolica, un paio di bicchieri iniziano già a dare alla testa.. 

Insomma al di la di tutti i discorsi già affrontati in merito ai Supertuscan, questo rimane comunque un gran bel vino da degustare. Se poi affrontiamo il tema (da non sottovalutare) del rapporto qualità/prezzo allora qualche appunto possiamo farlo. Come ho scritto sopra questa boccia mi è stata regalata, probabilmente consigliata dal solito enotecaro rimasto culturalmente negli anni 80 o che cerca di liberare gli scaffali dai vini invenduti…. comunque basta dare un occhio in giro per capire che siamo al cospetto di un vino muscoloso anche nel prezzo. Mediamente si colloca tra le 40-45 euro in enoteca, direi un prezzo decisamente elevato anche se siamo al cospetto di una bottiglia importante.

Il consiglio che posso dare è di lasciarvi guidare dal vostro gusto personale. Io con 40 carte in tasca vado a colpo sicuro dai miei amici nebbiolisti, ma se siete dei merlottiani convinti e figli delle valutazioni centesimali  (sempre sopra i 90 punti il Lamaione in casa Parker), allora questo è un gran bel Merlot che può darvi grandi soddisfazioni. Gusti son gusti..  

Stappare con il dovuto anticipo e alla giusta temperatura (sui 20°C). Accompagnare con piatti saporiti, come selvaggina in umido o formaggi stagionati mentre vi sparate un cd altrettanto muscoloso, direi qualcosa di Henry Rollins… meglio ancora se nella vostra discografia avete Damaged dei Black Flag. 

Rimane la sensazione (un po' superata) del grande vino. Merlottiani fatevi sotto… tutti gli altri nelle Langhe.

lunedì 13 febbraio 2012

BACCABIANCA 2006 - Tenuta Grillo

...denso, ricco di “fondo”, ti aspetti un vino che è una mazzata, ed invece mostra i muscoli solo in parte, rilevandosi strepitoso nell’abbinare struttura e sensazioni olfattive-gustative particolari, senza risultare faticoso o stancante… anzi… piacevole e gustoso


Ho recentemente parlato di un produttore “naturale”  come La Stoppa e del suo Gutturnio Rosso, ora ci trasferiamo dai colli Piacentini alle colline del Monferrato, precisamente a Gamalero, presso la Tenuta Grillo di Igiea e Guido Zampaglione. Sono entrato in contatto diretto con i vini del “Grillo” alla recente edizione della Terra Trema, dove ho potuto assaggiare e acquistare un paio di bottiglie che mi avevano incuriosito, ovvero il Baccabianca di cui vi scrivo oggi e il Pecoranera, attualmente dormiente in cantina (almeno fino a quando resisto a non stapparlo…). 

Prima di raccontarvi del bevuto è doveroso introdurre l’argomento Zampaglione-Grillo-Vini Naturali, perché al di là dei pregi e difetti di ogni singola bottiglia è l’idea di vino e di come realizzarlo, a rendere questa cantina una tra le realtà più interessanti tra i produttori naturali.

Innanzi tutto c’è un filo conduttore che lega Tenuta Grillo e La Stoppa. Guido Zampaglione (che gli appassionati già conoscono per la sua piccola azienda campana “Il Tufiello” dove 2 ettari di vigneto danno vita al Don Chisciotte un Fiano che ha già riscosso parecchi consensi...) ha frequentato uno stage presso la cantina di Elena Pantaleone, dove ha conosciuto l'enologo Giulio Armani (con cui tuttora collabora), consentendo a Guido di acquisire le pratiche enologiche con cui oggi produce il suo vino e che troviamo elencate con grande semplicità sulla retro-etichetta del Baccabianca... “Prima la vigna, poi lunghe macerazioni, lieviti indigeni, non filtrato”. 

La Tenuta si estende per 32 ettari di cui 17 vitati con predominanza di uve autoctone che ben rappresentano il territorio del Monferrato, come il Cortese, il Freisa, la Barbera e il Dolcetto, dalle quali si ricavano circa 25.000 bottiglie l'anno. Tutto il processo che porta alla realizzazione di questi vini, avviene nella maniera più naturale possibile, a partire dalle vigne, coltivate a regime biologico, senza l’utilizzo di concimi e diserbanti chimici (solo rame e zolfo), con rese basse e piante sane, che regalano uve di ottima qualità. In cantina la vinificazione segue un percorso lento ma spontaneo, con macerazioni lunghissime e utilizzo di lieviti indigeni, limitando l'utilizzo di solforosa e nessuna filtrazione. Gli affinamenti sono lunghi sia durante la permanenza nelle botti di legno grande che in bottiglia. Il tutto sempre variabile a seconda delle caratteristiche di ogni singola annata, con interventi sul vino ridotti all'osso, per ottenere un prodotto che riesce ad esprimere il carattere del territorio e l'attenta cura del suo vignaiolo.

Il vino che ho stappato e che vi racconto, é il Baccabianca 2006, vino bianco prodotto con il 100% di uve Cortese vendemmiate a settembre e vinificate in rosso; quindi con lunga macerazione (circa 40-60 giorni) sulle proprie bucce, a cui segue l'affinamento in acciaio e quasi un anno in bottiglia.

Stappo con il dovuto anticipo, verso, assaggio ed entro in contatto diretto con il mondo della Tenuta Grillo, finalmente ritrovo nel bicchiere un vino che sa parlare e non racconta sempre le solite cose. 

Partiamo dal colore… é un così detto vino "aranciato"… che ricorda l’ambra, molto brillante in controluce, leggermente denso, scende viscoso lungo le pareti del bicchiere. Impossibile attraversarlo con lo sguardo, è un vino non filtrato e rimane velato, quasi intorbidito, un po' come quando guardiamo il mare attraverso la maschera da sub. Infilo lentamente il naso nel bicchiere, temo mi arrivi un bel cazzotto sul naso... invece il Baccabianca arriva lentamente, con un bouquet mai aggressivo. Inizialmente piuttosto chiuso, va lentamente ad aprirsi e a regalarci sensazioni olfattive particolari. Tendezialmente amarognolo, dato che sono le sensazioni erbacee e di fieno, di cannella... addirittura nocciola, nespole e legno di bosso a farsi notare, distinguendolo dai classici bianchi aromatici dove domina la dolciastra sensazione di frutta matura a polpa bianca. Anche al palato sa contraddistinguersi. Ovvero un bianco che sembra un rosso ma con una piacevolissima e quasi inaspettata bevibilità e digeribilità, che tradotto, significa seccare la bottiglia mentre ancora sei li che cerchi di capire fino in fondo tutte le sfumature di questo vino. Morbido, caldo e avvolgente, con spiccata tannicità, strutturato e di ottimo corpo, sa essere succoso e polposo, ritrovando qui le sensazioni di frutta matura, ma anche una vena più tostata. Un vino rustico nell’approccio ma ricco di fascino da scoprire sorso dopo sorso, con un finale lungo, persistente, amarognolo e vegetale. Ottima personalità.

Sicuramente un vino particolare, direi quasi moderno, nel suo essere "espressione" di una tecnica vinicola antica e artigianale. Forse non piacerà a tutti, soprattutto se siete amanti dei bianchi “estivi”, leggeri, freschi, dinamici e aromatici; qui la faccenda è un po’ più complessa, ci vuole maggior attenzione e voglia di sperimentare sensazioni gustative a cui non siamo abituati. 

Proprio per questi motivi ci siamo entusiasmati con questo Baccabianca, diverso dal solito bere, ha creato dibattito e ha saputo stupirci. Osservi la bottiglia in controluce e vedi questo bianco che è arancione (il mio vecchio pensava mi fosse andato a male…), denso, ricco di “fondo”, ti aspetti un vino che è una mazzata, ed invece mostra i muscoli solo in parte, rilevandosi strepitoso nell’abbinare struttura e sensazioni olfattive-gustative particolari, senza risultare faticoso o stancante… anzi… piacevole e gustoso anche grazie ad una alcolicità non elevata (12%vol) che lo rendono più leggero e digeribile. 

Io l’ho trovato ottimo servito leggermente fresco accompagnato a formaggi francesi a pasta molle ma saporiti, alternativamente anche su una gustosa Paniscia ci calza a pennello. Non é facilmente reperibile, almeno che troviate enoteche che propongono vini naturali o meglio ancora partecipate alle rassegne enologiche dedicate ai vignaioli indipendenti a cui la Tenuta Grillo é associata. Il prezzo di acquisto si aggira sulle 16 euro.

Se con il Gutturnio della Stoppa ci ascoltavo i CCCP con i vini di Zampaglione metto su 13 Songs dei Fugazi. Chi conosce i paladini della scena alternativa americana ha già capito tutto… per tutti gli altri sappiate che i Fugazi sono la parte sana ed evoluta dell'hc/punk di Washington D.C. Sempre fedeli al D.I.Y. (do it yourself), autoprodotti in tutto e per tutto, ambasciatori della filosofia straight edge nel mondo. Un rock nudo e crudo ma che ne combatte la parte malsana, con un deciso no alla violenza, all’alcool, e alle droghe, fino ai continui appelli durante i loro concerti per evitare stage diving e pogo sfrenato (ho un ricordo indelebile del loro concerto al Leoncavallo nell'ormai lontano 1999….). 

Ecco Tenuta Grillo e Baccabianca ci stanno alla grande con la band di MacKaye e Picciotto… radicali e coerenti con le loro scelte, apparentemente trasgressivi nel regalarci vini e canzoni mai omologate. Così come i brani di 13 Songs, richiedono impegno ed attenzione per essere assimilati e apprezzati, anche i vini della Tenuta Grillo richiedono predisposizione e apertura mentale. Chi li saprà capire godrà (in entrambi i casi) di prodotti longevi che più invecchiano e più ci piacciono. Entrambi vogliono realizzare qualcosa di autentico, senza compromessi e senza filtri, genuino, artigianale e faticoso, che richiede dedizione, passione e sudore. 

A entrambi del disco d’oro o del primo posto tra gli album più venduti non gli importa un fico secco. Proprio per questo o li ami o li odi… ma se li ami… è passione vera.

mercoledì 8 febbraio 2012

ACQUISTARE VINO AL SUPERMERCATO...ECCO COME FARE

ECCO ALCUNE MOSSE FONDAMENTALI PER ACQUISTARE VINO AL SUPERMERCATO SENZA CORRERE RISCHI...

Oggi non più, ma in passato ho dedicato parecchio del mio tempo tra gli scaffali del reparto vini presso la grande distribuzione. In base alla mia esperienza personale e al mio buon spirito di osservazione (almeno questo pregio dovete riconoscermelo...) mi sono permesso di scrivere delle "istruzioni per l'uso" su come agire quando decidete di acquistare una bottiglia al supermercato. Provate a seguire questi consigli… e (forse) non sbaglierete più un colpo…

DOVE ANDARE
La prima cosa da scegliere è il supermercato. Direi fondamentale. Discount e piccoli supermercati meglio lasciar perdere. L’unica volto che ho acquistato una bottiglia al Penny Market è finita dritta nel lavandino. Anche i mini-market di paese, quelli che hanno un po’ di tutto, sono sconsigliati. Hanno un reparto vini piccolo e con poca scelta. Optate quindi per gli ipermercati. C’è un sacco di scelta e più di uno scaffale dedicato al vino. IperCoop, Esselunga, Auchan, Carrefour non sono male. Altri mai provati. Dalle mie parti (Varese) c’è il Tigros, ma il reparto vini non è un granché, a parte lo scaffale in legno con le bocce più costose. Tra i menzionati l’Auchan risulta il numero uno. Si sa che i francesi in fatto di vino e grande distribuzione sono dei capi. Buona selezione, prezzi interessanti e sconti niente male. Una volta entrati nell'ipermercato fate attenzione a beccare lo scaffale giusto. Potete infatti trovare ben 3 reparti dedicati al vino. Uno con i vini “per cucinare” o “lavastomaco”. Prezzi stracciati, vini in cartone, dame da 5 litri… allontanarsi subito senza perdere tempo. Poi trovate lo scaffale “pregio”, spesso fatto in legno, con bottiglie rinomate e costose. Ci sono i vini francesi e gli italiani più famosi, addirittura all’Auchan era (e forse c'è ancora) in vendita una bottiglia di Monfortino. I prezzi vanno dalle 20 in su… difficilmente troverete offerte e vi servirà un bel portafoglio gonfio per acquistare questi vini. In tal caso per gli acquisti “prestigiosi” meglio rivolgersi ad una enoteca. Per concludere c’è il terzo scaffale quello più grosso… é il vostro scaffale… dalle 3 alle 20 euro ci trovate un po’ di tutto… sono migliaia di bottiglie, è da li che dovete pescare il vostro jolly.

MAI SOTTO LE 5 EURO
Spiace dirlo, ma il vino è un prodotto, e in quanto tale, vale la stessa regola di tutti gli altri prodotti del supermercato. Nel 90% dei casi la qualità si paga. Diciamo quindi che il primo indicatore (soprattutto per i non esperti) per comprare un “buon” vino è il prezzo. Nello specifico, considerando i costi di produzione, il trasporto e i ricarichi vari, consiglio (ad eccezione di alcune offerte) di non acquistare bottiglie sotto le 5 euro. Da li in su a voi la scelta. Io attualmente mi mantengo su una base di 7-8 euro, un po’ perché i prezzi sono aumentati, un po’ per gusto personale. Comunque su questa cifra trovate sicuramente vini validi. Tra le 5 e le 8 euro potete trovare “roba” buona ma con qualche rischio. Sotto le 5 euro siete ad altissimo rischio, il vostro vino da pasto ha ottime possibilità di essere declassato a vino “per cucinare”.

MEGLIO NON ACQUISTARE IL PRIMO PREZZO
Per spiegarmi meglio vi faccio un esempio. Scaffale Piemonte. Per i Barolo si parte dalle 10 euro del "Terre del Barolo" (solitamente il meno caro) fino ad arrivare a circa 30 euro. Barbera… si parte da 3-4 euro per una semplice Barbera d'Asti fino ad arrivare intorno alle 15 euro per una Barbera Superiore. Se avete 10 euro in tasca non fatevi fregare dalla voglia di portarvi a casa un vino rinomato come il Barolo, meglio investire la stessa cifra su una Barbera di media fascia, che sicuramente sarà una buona Barbera. Quindi a parità di costo meglio evitare il vino “rinomato” in versione economica e puntare su quello meno pregiato nella versione più costosa. Insomma meglio un Barbera figo che un Barolo scadente o un buon Chianti classico rispetto ad un Brunello di prima fascia. Ho sentito persone esclamare che il Barolo non è un granché, poi scopri che hanno bevuto solo il Terre del Barolo comprato in offerta al supermercato…

COME AGIRE DI FRONTE AD UNA MEGA OFFERTA
Ogni settimana è possibile trovare offerte particolari, con sconti che arrivano a toccare anche il 50%. Fate molta attenzione, occhio al tranello, non tutto è oro quel che luccica… Per prima cosa comprate il vino in offerta se lo conoscete o lo avete già provato, così siete sicuri del vostro acquisto. Se invece andate alla cieca… beh fate pure, ma comprate una sola bottiglia. Successivamente se siete soddisfatti del bevuto, tornate e fate scorta. Purtroppo le incul….mmm…. fregature sono dietro alla porta. Evitate di riempirvi il carrello di vinaccio solo perché era in vendita ad un prezzo stracciato. Giusto ieri il mio babbo mi fa vedere 3 bottiglie di Nero d’Avola comprato in mega offerta… giusto un paio di euro a bottiglia. Mi è bastato guardare l’etichetta per capire l’errore. Ora si ritrova con 3 bottiglie di sgorgante per il lavandino.

L’ABITO NON FA IL MONACO…. L’ETICHETTA SI
Lasciatevi pure attirare dalla veste grafica delle etichette. Un’etichetta ben fatta, che vi ispira fiducia e da un “tono” alla bottiglia difficilmente vi tradirà. Per prima cosa evitate di acquistare bottiglie con etichette orrende in carta plastificata. Guarda caso, quasi sempre sono anche quelle più economiche e vi lascio immaginare il contenuto. Certo ci sono le eccezioni, ma se non conoscete il prodotto meglio non rischiare. Se poi vi va di sfiga e dietro ad una bella etichetta c’è un pessimo vino, potete sempre consolarvi guardando la “scena che fa” la bottiglia sulla mensola. Se invece siete tra quelli che d’estate indossano la canotta a rete, allora dubitate del vostro gusto estetico e passate al punto successivo.

LEGGERE L’ETICHETTA
Dopo che avete scelto una bella etichetta… leggetela. Si sa che le informazioni sulle etichette delle bottiglie latitano. A parte le solite 4 righe descrittive (rosso rubino, giallo paglierino, di corpo, ideale con il pesce ecc…) possiamo trovare qualche informazione che può tornarci utile. Per prima cosa, se come il sottoscritto non amate i vini mossi, fate attenzione quando acquistate (ad esempio) il Gutturnio o la Barbera. Verificate che ci sia la dicitura “frizzante”, “vivace” o “fermo”, così evitate di ritrovarmi a tavola un bicchiere con due dita di spuma. Altra info utile (purtroppo non sempre presente) fa riferimento alle tipologie di uve utilizzate. Se non siete fanatici dei vini a taglio bordolese meglio dare un occhio, in particolare se avete in mano una bottiglia I.G.T. Il “mischione” con Cabernet, Merlot, Syrah è sempre in agguato. Ultima e più importante dicitura da controllare, fa riferimento all’imbottigliamento. Sempre meglio affidarsi a cantine che fanno tutto in casa, quindi occhio che ci sia scritto “imbottigliato all’origine”. E’ una garanzia in più contro eventuali “tagli” da parte di imbottigliatori furbetti.

EVITARE LE BOTTIGLIE IN PRIMA FILA
Se andate ad una cena importante e volete portare un vino “di livello”, diciamo dalle 20 euro in su, evitate di prendere la prima bottiglia a vista sullo scaffale, meglio spostarla e prendere quella dietro (a meno che non sia l’ultima). La maggior parte dei vini venduti nei supermercati è di fascia medio-bassa. Il che significa che i vini più costosi possono rimanere sugli scaffali per mesi, in posizione verticale, al caldo e a contatto diretto con la luce “potente” del negozio. Quindi, se proprio non volete andare in enoteca, cercate almeno di prendere una bottiglia dal fondo dello scaffale, così almeno non avrà preso luce diretta ed evitate il rischio di ritrovarvi tra le mani un vino difettoso (e pagato caro).

LA FRETTA E’ CATTIVA CONSIGLIERA
Prendetevi il vostro tempo. Non abbiate fretta e fregatevene dei forsennati ritmi da supermercato. Spulciate con tranquillità gli scaffali fino a quando sarete convinti del vostro acquisto e fatto tutte le valutazioni del caso. Si possono fare anche interessanti conoscenze nel frattempo e consigliare piacenti signore in difficoltà (non fate i fighi però…). Fate solo attenzione ai commessi, dopo alcuni minuti vi noteranno ed inizieranno a stressarvi (vedi il post Non stressateci in enoteca!) e soprattutto evitate abbigliamento hip hop style o inizieranno a pensare che state cercando di infilarvi qualche bottiglia sotto il vostro giubbotto over-size. Spulciando-spulciando con la dovuta calma sono riuscito a trovare anche bottiglie molto interessanti come ad esempio il Rosso de “La Stoppa”, non propriamente un vino industriale o che ti aspetteresti di trovare in un ipermercato.

BASTA CON I SOLITI NOTI
Come ho scritto sopra anche presso la grande distribuzione è possibile trovare qualche bottiglia interessante, magari biologica o prodotta da cantine medio piccole, soprattutto se cercate tra i vini regionali dove l’assortimento è maggiore. Quindi non abbiate paura di provarli anche se non li conoscete, si possono scoprire viticoltori nuovi e assai interessanti. Non ricadete e ingrassate con i vostri euro i soliti nomi. Provate dell’altro. In Toscana non esiste solo il santa Cristina e il Remole (2 vini assai mediocri),  non esistono solo i produttori da milioni di bottiglie (fermo restando che alcuni grandi produttori che fanno buoni vini ci sono, tipo Feudi di San Gregorio o Donnafugata entrambi validi a prezzi abbordabili). Basta con i soliti Cavit, Antinori, Vini Corvo, Moncaro ecc.... E soprattutto non limitatevi ai soliti Chianti, Morellino, Nero d’Avola ecc… provate anche un buon Frappato, un Montecucco, una Ribolla gialla o un Sylvaner al posto del più scontato Muller Thurgau.

IL RINNEGAMENTO
Per concludere questa mini-guida all’acquisto presso la grande distribuzione ecco il consiglio più importante di tutti. Se avete un po’ di interesse verso il mondo del vino e volete dedicargli un po’ di attenzione e tempo, il consiglio migliore che posso darvi è evitare di comprare vino al supermercato!! Io ci sono praticamente riuscito e mi capita di mettere una boccia nel carrello molto saltuariamente. Guardatevi intorno consumatori “schiavi” dei centri commerciali. C’è internet, con un sacco di consigli ed enoteche on-line interessanti e con buoni prezzi. Ci sono le fiere eno-gastronomiche, la rete G.A.S., le sagre di paese, le degustazioni, le eno-gite nelle cantine, i saloni del vino dove potete acquistare direttamente dal produttore. Insomma si può avere la cantina piena di bottiglie senza fare la scorta all’ipermercato come si fa con la carta igienica. Forse vi costa qualche euro in più… ma vuoi mettere la soddisfazione di acquistare il vino direttamente da chi l’ha prodotto, dopo averlo assaggiato e magari aver visto dove nasce l’uva e ascoltato i racconti del vignaiolo? Vuoi mettere quante interessanti bottiglie "non scontate" puoi gustarti? Non solo, eviterai di ingrassare le già grasse casse delle multinazionali della distribuzione che stanno uccidendo i piccoli negozianti (soprattutto ora con le liberalizzazioni), che "sfruttano" i commessi con contratti indecenti e cementificano a più non posso le nostre città.

Questo è quanto… se avete letto tutto non potete più sbagliare un colpo al supermercato anzi, non ci andate proprio più!. Chiunque abbia qualche altro buon consiglio all’acquisto può contribuire e completare questo "manuale" con la sua esperienza. Il messaggio comunque l’avete recepito… il miglior vino è quello non comprato al supermercato!! 

p.s. dopo aver scritto tutto sto popò di roba, mentre cercavo su google alcune foto di "reparto vini" per completare il post, mi sono imbattuto in un post quasi analogo pubblicato su Intravino il 3 giugno 2011 (chiedo scusa per le somiglianze...semplicemente abbiamo trattato lo stesso argomento). Pur non avendo mai letto quel post prima di oggi, noto alcuni punti di contatto con quanto scritto da Fiorenzo Sartore e altre ottime osservazioni da lui scritte che arricchiscono ulteriormente l'argomento. (leggi qui i consigli di intravino)

domenica 5 febbraio 2012

MONTESSU 2008 - Isola dei Nuraghi I.G.T. - Agricola Punica

...Bevetelo quindi con "piacevole" disimpegno, magari mentre in sottofondo gira un buon cd di lounge-bossanova (roba tipo Gerardo Frisina, Nicola Conte ecc...), musica adatta per sorseggiare un buono vino da fighetti.


Se penso ad un classico vino toscano e ad un classico vino sardo, penso a molte differenze e a pochi punti di contatto... a meno che... si decida di portare un pezzo di Toscana in Sardegna.

Non pensate ai tipici vini di queste due regioni, ma immaginate piuttosto un vino tipicamente extra-territoriale in puro stile supertuscan. Prendete un classico vitigno sardo come il Carignano, mischiateci un cocktail di uve internazionali... et voilà! Non fanno così anche in Toscana? Base Sangiovese e un mix di uve di taglio bordolese, affinamento in barriques e il supertuscan é pronto.

Ecco questo Montessu possiamo (ironicamente) chiamarlo "Supersardus", lo stile e quello dei celebri vini a taglio bordolese e per renderlo più toscano possibile, mettiamoci anche Giacomo Tachis, il re dei Supertuscan (é il papà dei vari Sassicaia, Tignanello, Solaia ecc..) e la frittata é fatta. Che sia un personaggio "molto" influente nella storia enologica nazionale é indiscutibile, che dalla sua mente sia nati grandi vini famosi in tutto il mondo é altrettanto indiscutibile, bisogna però chiedersi se l'esaltazione del blend dal taglio internazionale che Tachis ha portato alla ribalta, sia stato effettivamente una cosa positiva. A pensarci oggi, a qualche hanno di distanza e con qualche supertuscan in meno sugli scaffali (o forse di più visto che non se li fila più nessuno) direi di no.

Se é pur vero che certi vini hanno spostato l'attenzione dei mercati esteri verso l'Italia, é altrettanto corretto sottolineare, come abbiano distolto l'attenzione dal prodotto autoctono e territoriale, portando molti produttori ad effettuare scelte scellerate nel tentativo di emulare (e vendere a cifre importanti) i vini in stile Tachis.

La Toscana in primis, ha adottato questa "idea" di vino "tagliato". Si é preferito impiantare Cabernet, Merlot e Syrah al posto del Sangiovese, ma oggi, con il senno del poi e un mercato che guarda sempre meno a questa tipologia di blend, credo che molti produttori si siano pentiti di alcune scelte adottate e oggi, stanno cercando di recuperare. I consumatori e le nuove generazioni di eno-appassionati figli di Mondovino, preferiscono i vini naturali e autoctoni, vini che fanno fede alle D.O.C. e meno alle più libertine I.G.T., lasciando al mercato americano e orientale i supertuscan, che, a parte qualche grande nome, dalle nostre parti sembrano non avere più mercato, anche a causa di alcune pericolose derive, che una certa idea di vino "tagliato" ha portato nella mente di produttori furbacchioni (vedi lo scandalo Brunellopoli). 

Allora mi chiedo, ha senso nel 2002 creare una joint-venture tra il dott. Sebastiano Rosa, la cantina di Santadi, la Tenuta San Guido, Antonello Pilloni (presidente di Santadi) e Giacomo Tachis?? Ha senso l'Agricola Punica in un contesto vinicolo unico e caratteristico come quello sardo?? E soprattutto dichiarare di voler produrre un fantastico Carignano, per poi impiantare oltre al Carignano, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot e produrre due blend come il Montessu e il Barrua?? Come direbbe la Mara Maionchi... bravi bravi bravi... ma per me é no!

Tralasciamo critiche e considerazioni personali sul progetto per raccontare del vino e di questa "nuova" cantina. Ho scritto sopra della joint-venture tra importanti signori del vino che hanno partorito l'idea all'Agricola Punica. La location scelta per dare vita al progetto é la Sardegna sud-occidentale, detta Sulcis Meridionale. 170 ettari (65 vitati) di proprietà suddivisi in due tenute, Barrua e Narcao. 

Per produrre questo Montessu 2008 (che prende il nome dall'area archeologica annessa ai vigneti) si é partiti da una base di uve Carignano (60%), mentre il restante 40% é equamente suddiviso tra Syrah, Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Fanc. La vendemmia va da metà settembre a metà ottobre, mentre la vinificazione avviene a temperatura controllata con periodici rimontaggi. L'affinamento avviamente in barriques di rovere francese, per una durata di 15 mesi. 

Di colore rosso rubino intenso con buona limpidezza, presenta un naso abbastanza intenso e persistente, con buona finezza olfattiva, dove primeggiano le note di frutta rossa matura e di liquirizia, con sfumature balsamiche e vegetali. Decisamente delicato con una vena alcolica (14%vol.) che rimane sempre in secondo piano, senza spingere troppo, lasciandoci un naso composto ma senza grandi spunti. Il palato é in simbiosi con le sensazioni olfattive. Decisamente bevibile e amabile, caldo e morbido, con tannini dolci e rotondi; decisamente elegante e fine, con buona struttura e corpo. Succoso e mai pesante, risulta dolciastro al palato, dove si avverte la sensazione "polposa" della frutta matura, prima di lasciarci con un finale discretamente lungo con rilascio di liquirizia e vaniglia. 

Nel complesso un vino assai piacevole, mai pesante, dalla beva semplice e piaciona. Siamo "alle solite" insomma, almeno per questa tipologia di vini. Tutto bene quindi... bello, buono e piacevole, tanto equilibrio e finezza, un vino mai sgradevole che può piacere a molti, ma la sensazione che rimane è quella di un ottimo prodotto ma poco coraggioso, con molta tecnica e lavoro in cantina, ma poco territoriale e viscerale, manca di potenza e di carattere.
Onestamente sono rimasto soddisfatto del bevuto ma senza entusiasmarmi, soprattutto perché nella sua internazionalità, non riesce a trasmettere l'unicità e la rusticità, la potenza e i caratteristici profumi mediterranei che mi aspetto (e spesso ritrovo) in un vino sardo. Potrò essere smentito in merito, ma la sensazione che rimane, da consumatore e appassionato é questa, soprattutto al cospetto di una cantina dove operano alcuni dei più famosi enologi nazionali, che ci presentano i loro vini come qualcosa di strepitoso.

Che Tachis abbia firmato grandi vini sardi come il Turriga e il Terre Brune è indiscutibile... ma come ho scritto sopra, rimane l'idea gustativa di avere a che fare con un supertuscan ottenuto con uve coltivate in Sardegna anziché in Toscana. 

Metteteci anche che il Montessu é spesso venduto a prezzi esagerati. Io l'ho acquistato circa un anno fa intorno alle 11 euro, ma poco dopo ho notato un aumento costante del suo prezzo, fino a raggiungere in alcune enoteche prezzi decisamente elevati (su xtrawine é venduto addirittura a 22.20 euro!!). Sarà forse merito delle buone valutazioni delle guide, ma credo che un prezzo di acquisto tra le 14-15 euro sia più che adeguato. 

L'abbinamento gastronomico é assai ampio, diciamo pure che ci sta con tutto, tanto é ruffiano. Bevetelo quindi con "piacevole" disimpegno, magari mentre in sottofondo gira un buon cd di lounge-bossanova (roba tipo Gerardo Frisina, Nicola Conte ecc...), musica adatta per sorseggiare un buono vino da fighetti. 

Con i pro e i contro del caso di cui ho scritto sopra... rimane comunque un buon prodotto piacevole da bere, diciamo un vino ben fatto. Se poi cercate vini che sappiano emozionare ed esprimere il terroir di provenienza... si prega di investire su altro... su queste cifre si possono fare acquisti interessanti.

mercoledì 1 febbraio 2012

ROSSO 2009 - La Stoppa

...Identità territoriale in primis, l’Emilia “paranoica” raccontata dai CCCP l’assaporiamo anche nei vini di Elena. Entrambi in controtendenza, hanno saputo interpretare il loro tempo, ribaltare il senso del gusto ed essere inconsciamente, simbolo di una generazione...


Innegabilmente tra le varie regioni italiane l‘Emila Romagna è tra quelle che enologicamente parlando mi mettono maggiormente in difficoltà. Qualcuno lo chiama eno-snobbismo, ma non è questo il punto. Parto dal mio scarso amore per i vini vivaci, in particolare se si tratta di rossi e si sa, questa regione è la patria dei vini con la spuma. Gutturnio e Barbera frizzante, Bonarda, Lambrusco di Modena… dalle spinatrici dei circoli locali alle bottiglie più pregiate, la spuma di questi vini, gassosa o nobile che sia, è sempre poco apprezzata dal sottoscritto, quantomeno non abbastanza per giustificarne l'esborso economico per l’acquisto di una bottiglia. E proprio questo è il secondo motivo che mi tiene alla larga da questi vini… con pochi soldi in tasca, nonostante la “fame” gustativa, per cui vorresti provare tutte le etichette del mondo, da nebbiolista quale sono, preferisco investire su vini più consoni al mio gusto. Diventa così difficile acquistare vini dell’Emilia Romagna alla cieca o tanto per provare un’etichetta. Ad esempio il Gutturnio...(assemblaggio Barbera-Bonarda)... sempre massima attenzione, soprattutto quando non è specificato sull’etichetta “fermo” o “frizzante”…

Detto questo, (volevo giustificare la non folta quantità di bocce Emiliano-Romagnole presenti nel blog), bisogna ammettere come nel corso degli ultimi anni, molte aziende vitivinicole locali siano riuscite a smarcarsi dall’idea di vino "andante" e vino in cartone, (Tavernello e San Crispino sono di queste parti…) come semplici vini "per lavare lo stomaco" (o meglio da spurgo…), senza alcuna pretesa qualitativa e gustativa.

Così a contrastare un'idea di vino industriale, con vigne ad alta densità di impianto, rese altissime e con massicci interventi chimici in vigna, si sono sviluppate alcune realtà che hanno concentrato gli sforzi su una viticoltura più rispettosa dell’ambiente, del territorio e conseguentemente del consumatore.

Tra le maggiori interpreti della rinascita della viticoltura emiliana c’è sicuramente l’az. Vitivinicola La Stoppa, di Elena Pantaleoni (con la collaborazione di Giulio Armani), tra le più stimate “donne del vino” del panorama nazionale. La cantina di Rivergaro (PC) in Val Trebbiola, ha origini antiche, ma solo dal 1973 con l’acquisizione da parte della famiglia Pantaleoni, inizia la fase di rinnovamento, che avrà una decisiva svolta nel 1997 quando Elena diventa titolare dell’azienda e ne fa un simbolo del territorio piacentino e più in generale della viticoltura "naturale" nazionale.

Alla Stoppa si inizia così a produrre vini il più naturali e territoriali possibili. Sempre più ettari sono dedicati ai vitigni autoctoni come Bonarda, Barbera e Malvasia a discapito dei più internazionali vitigni di stampo bordolese. Le vigne sono gestite secondo il metodo biologico, vengono abbassate le rese, eliminato il diserbo e favorito l’inerbimento. Nessuna concimazione e trattamenti, con l’esclusivo utilizzo di rame e zolfo. Questa attenzione per il lavoro in vigna, il rispetto ambientale e un processo di vinificazione il più spontaneo possibile (quindi zero solforosa, utilizzo di lieviti indigeni, macerazioni lunghe con temperature variabili a seconda delle annate), hanno permesso di otttenere vini caratteristici e distinguibili all'interno del panorama enologico nazionale, con possibili variazioni anche a seconda delle annate.

L'attenzione per un vino caratterizzato e fatto soprattutto in vigna, oltre al crescente interesse delle nuove generazioni di eno-consumatori nei confronti dei vini "naturali", hanno consentito ad Elena e alla sua azienda di porsi all’attenzione di molti, ottenendo numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali, attestandosi come una delle più importanti (e grandi) cantine produttrici di vini "naturali". Molto spesso le cantine che operano in maniera “non industriale” sono dimensionalmente piccole e a conduzione famigliare. Alla Stoppa invece hanno dimostrato che “naturale” non deve obbligatoriamente far rima con "piccolo". Si può operare in maniera eco-compatibile con il territorio, nel rispetto delle tradizioni, dell'artigianalità e della genuinità del prodotto anche facendo i grandi numeri.

Qui gli ettari coltivati sono ben 30 per un totale di 160.000 bottiglie prodotte e a differenza di altri vignaioli “naturali” le cui bottiglie sono quasi introvabili (solo vendita diretta, fiere dedicate o enoteche specializzate), sono (in parte) reperibili anche presso la grande distribuzione (all’Auchan ho trovato sullo scaffale sia il Gutturnio frizzante che quello fermo per una cifra intorno a 8-9 euro). Nell'insieme viene prodotta una selezione ben articolata, che passa dai vini quotidiani come il Rosso e il Trebbiolo frizzante, ai più importanti Macchiona, Barbera della Stoppa, Ageno, oltre al passito Vigna del Volta.

Nello specifico il vino che mi sono gustato é il Rosso, vino giovane a base di Barbera 60% e Bonarda (Croatina) 40%, diciamo un Gutturnio fermo, non fosse per la radicale rinuncia alla D.O.C. operata dalla Stoppa, una forma di protesta contro la crescente burocratizzazione dell'attività vinicola, sempre più onerosa e "soffocante" per i produttori. 

Le uve utilizzate per questo rosso provengono da vigne in età variabile dai 3 ai 20 anni con una densità di impianto tra le 4.000-6.000 piante per ettaro. La macerazione sulle bucce dura circa 20 giorni con utilizzo di soli lieviti indigeni, mentre fermentazione e affinamento avvengono in vasche di acciaio. In totale oltre 30.000 bottiglie prodotte, per un vino base di pronta beva e adattissimo per pasteggiare, soprattutto se abbinato ai rustici piatti della tradizione piacentina.
 
Mi gusto questa boccia a cena e fin da subito si nota l'impronta del produttore, con un vino che si smarca dal gusto a cui siamo comunemente abituati. Rispetto ad altri Gutturnio assaggiati, quasi dei vini neri, molto rustici e pastosi, qui riscontriamo un vino, leggero, snello, di buona trasparenza e brillantezza, con un naso leggero, poco vinoso e alcolico ma di buona persistenza aromatica. E' alla beva però che esprime tutte le sue caratteristiche e si coglie l'impronta stilistica del vignaiolo. Oltre ad una beva fresca e leggera, ad un attacco piacevole e dolciastro, si contraddistingue per buona acidità e croccantezza, con una succosa sensazione di ciliegia e... udite-udite uva, prima di lasciare spazio a sensazioni floreali ma soprattutto erbacee e terrose fino ad una (mia personale sensazioni) di funghi e muschio (che dopo 2/3 bicchiere mi ha un po’ infastidito), prima di congedarsi con un finale leggere e dolciastro.

Sicuramente un buon vino quotidiano, da bere senza troppo pensarci su, dalla gradazione alcolica importante (13,5%vol.) ma che assolutamente non appesantisce la beva, anzi, la sensazione è proprio quella di un vino leggero e assai digeribile. 

Pur essendo un Rosso da bersi giovane e affinato solo in acciaio, si riscontrano delle ben marcate note gustative che smarcano questo vino dalle “solite” sensazioni aromatico-fruttate-speziate a cui siamo abituati. Proprio perché siamo consoni a certi tipi di vino standardizzati, a non tutti possono piacere certe "qualità" e anche al sottoscritto, come ho accennato sopra, alla lunga ha un po’ stonato. 

Insomma va a gusti, la certezza è che queste caratteristiche (che ritroviamo più o meno presenti anche in altri vini naturali) sono le particolarità che identificano questo vino e lo contraddistinguono, quindi al di là del gusto personale rimane una nota positiva che avvalora il prodotto, lo rende sanguineo, viscerale e poco tecnico. (Ad eccezione di alcuni vini dove le sensazioni di terra, umido e stalla sono così intense da renderlo, a gusto personale, sgradevole).

L’abbinamento ideale per questo Rosso è un bel tagliere con gli eccezionali insaccati dei Colli Piacentini e ovviamente, gnocco fritto a volontà… il tutto mentre vi ascoltate la discografia dei CCCP.  

L’ex band di Ferretti calza a pennello con i vini della Stoppa. Identità territoriale in primis, l’Emilia “paranoica” raccontata dai CCCP l’assaporiamo anche nei vini di Elena. Entrambi in controtendenza, hanno saputo interpretare il loro tempo, ribaltare il senso del gusto ed essere inconsciamente, simbolo di una generazione, stufa del qualunquismo e dell’omologazione degli anni 80 e primi 90. Per entrambi una sorta di approccio “retro-futurista”, ovvero riprendere possesso del passato e delle radici storico, ideologiche e culturali per guardare avanti. Amati o criticati, alla fine per entrambi è arrivata la consacrazione e il rispetto di una generazione “post-punk” sia in ambito strettamente musicale, sia in ambito vitivinicolo.

Ecco, nel mettere in relazione le mie passioni eno-musicali potrei definire La Stoppa una cantina eno-punk. Chi più dei punk nella storia della musica e dei movimenti giovanili sono stati il simbolo dell’anticonformismo, della controcultura, del non omologato e del ritorno ad una musica semplice, diretta e schietta?? Questo hanno fatto anche alla Stoppa, intervenire il meno possibile e lasciare parlare la natura, fare un vino “semplice”, in opposizione alla cultura del vino elaborato e manipolato in cantina, ruffiano, zuccheroso e marmellatoso.

Poco altro da aggiungere, a parte rimarcare le lodi per il lavoro di Elena e La Stoppa (in questa cantina ha “imparato” il mestiere anche quel genio di Zampaglione della Tenuta Grillo), che sicuramente ha il merito di aver dato visibilità e slancio a tutto il movimento dei produttori “naturali”. 

In attesa di gustarmi i vini più “importanti”, magari direttamente in cantina (o più probabilmente tra un mesetto al castello di Agazzano) con stima  per questo Rosso.

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NON STRESSATECI IN ENOTECA !!

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...Anche se sono un po’ più giovane e indosso il parka con le pins non significa che entro per mettermi sotto il giubbotto le bottiglie di Petrus fiore all’occhiello della vostra enoteca, quindi evitate di allungare il collo o sguinzagliarmi alle spalle un commesso ogni volta che giro dietro allo scaffale.