lunedì 29 ottobre 2012

GROPPELLO DI REVÓ 2008 - Vigneti delle Dolomiti I.G.T. - El Zeremia


...da oggi lo sapete, non solo mele Melinda in Val di Non, c'è anche un piccolo produttore di vino "storico" e sincero che merita la nostra attenzione.


Terza ed ultima bottiglia stappata per questa prima somministrazione di vini “autunnali”. Dopo un bianco e un rosso dal Piemonte, passiamo ad est, diretti in Trentino, altra regione italica dove l’autunno riesce a regalare emozioni forti. Quando ho scelto questi 3 vini dal catalogo di Avionblu, ho puntato un po’ a colpo sicuro sui due piemontesi e un po’ per curiosità su questo Groppello… non l’avevo mai assaggiato prima e non sapevo esattamente cosa aspettarmi, ma più raccoglievo informazioni in merito, più rimanevo affascinato dalla storia di questo antico vitigno salvato dall’oblio e diventato simbolo della biodiversità di un’intera valle. 

Se ho elogiato Walter Massa per aver ridato vita al Timorasso, altrettanto devo fare con Augusto Zadra detto “El Zeremia”, vignaiolo autentico, fortemente legato al territorio, capace di salvaguardare con orgoglio, le centenarie viti di Groppello di Revò (tipiche della Val di Non, da non confondere con gli altri Groppelli della zona del Garda ) dall’invasione delle mele e diventarne il produttore simbolo, tanto da coltivare (circa un ettaro e mezzo) e produrre solo vini ricavati da questa autoctona uva (2 tipologie). 

Attualmente Zadra produce tutto in casa, grazie alla nuova cantina che gli consente di seguirne personalmente tutto il processo produttivo, mentre in passato (quindi anche per questa bottiglia del 2008) si appoggiava alla cantina Pravis per la vinificazione e l'imbottigliamento. L'età di queste particolari viti vanno dagli 80 ai 120 anni e sorgono su un suolo argilloso-sabbioso. La vendemmia avviene nella seconda metà di ottobre, con una resa di 60-80 ql/ha. Vinificazione e maturazione avvengono in acciaio, mentre per l'affinamento ci si affida alle barriques (circa un anno) e alla bottiglia (circa 6 mesi).

Osservando il vino nel bicchiere ci si fa subito un'idea.… color rosso rubino brillante che sfuma nel porpora, decisamente fluido, piuttosto dinamico e di buona trasparenza. Si avverte una certa sensazione di leggerezza, e così sarà… Se mi concedete il termine "poco tecnico", alla domanda <Com'è questo Groppello?> risponderei <carino…>. E' ben fatto, ha il suo perché, ma non è riuscito ad entusiasmarmi. Pensate ad un buon centrocampista, di quelli diligenti che tengono la posizione ed eseguono alla lettera le istruzioni del mister. Ha piedi buoni e buona tecnica, ma se non lo nomina il telecronista quasi non ti accorgi della sua presenza in campo. Ricopre il suo ruolo senza sbavature, ma non riesce mai ad essere decisivo. Gli manca la grinta e il mordente del miglior Gattuso, non ha la tecnica e l’eleganza di un Pirlo, ma soprattutto, scordatevi la giocata che infiamma lo stadio di un Alex Del Piero. Ho reso l’idea?

Metafora nazional-popolare a parte, è il primo Groppello che bevo, ma la sensazione è che da questa storica uva, neanche il suo produttore simbolo riesca a tirarne fuori un vino importante. E’ tecnicamente ben fatto, discreto per struttura e persistenza. Il naso non è particolarmente variegato e a spiccare sono le note di frutta rossa, abbinate a sentori più speziati. Un ventaglio olfattivo semplice e mai esplosivo. La beva risulta piuttosto piacevole e snella, leggermente piccante, con il legno che smussa un po' gli spigoli... è un vino che denota una buona funzione alimentare, grazie anche ad una interessante acidità che conferisce freschezza. Risulta gradevole, ma manca in lunghezza e profondità, dal primo all’ultimo sorso rimane costante e fine a se stesso, senza evolvere o riuscire ad incuriosire ed emozionare. 

Rileggendo quanto ho scritto, devo ammettere che può sembrare un giudizio decisamente negativo. Non è proprio così… diciamo che il vino non è affatto male, anzi, ma da un vitigno autoctono con oltre 100 anni di età mi sarei aspettato qualcosa di più particolare e ricercato, qualcosa di più coinvolgente ed emozionante, un vino che nel bene o nel male, faccia discutere i commensali…. invece rimane “solo” un buon vino, semplice, sincero, onesto (che é già gran cosa se paragonato a certi vini "costruiti" per le classifiche di Luca Maroni!!).

Questo il giudizio “tecnico” se così si può dire… (non essendo un tecnico perché dovrei dare un giudizio tecnico? non lo so...) ma non posso esprimermi esclusivamente sul bevuto, senza considerare il grande lavoro di recupero e salvaguardia di questa uva autoctona da parte del sign. Zadra… Il rapporto imprescindibile tra terroir, vignaiolo, storia, cultura ecc… per questo il Groppello di Revò merita la nostra attenzione e si attesta come un vino a suo modo “importante” nel panorama nazionale. 

Negli ultimi decenni abbiamo visto il primeggiare delle monoculture intensive, i terreni impoveriti da concimi e pesticidi chimici, agro-imprenditori che puntano unicamente sui prodotti che hanno più mercato e garantiscono fatturato. E’ successo anche in Val di Non, dove le vigne sono state estirpate per lasciare spazio ai meleti, rischiando di azzerare le biodiversità di una valle così ricca di sfumature. Per questo oggi più che mai, bisogna valorizzare la scelta controcorrente de “El Zeremia”. Riappropriarsi e rivalutare un vitigno storico del suo territorio, il “tenere duro” ai cambiamenti, innescare come vignaiolo, una pratica di resistenza nei confronti di un sistema che anche in agricoltura punta a favorire i grandi produttori. Non dimentichiamoci che un bicchiere di Groppello di Revò racchiude anche tutto questo.

Costo della bottiglia sulle 18 euro, troppe se pensiamo al bevuto (innegabilmente su queste cifre si possono trovare vini molto più interessanti, basta pensare alla Barbera di Ettore Germano assaggiata recentemente) ma giustificate per tutto quello che c’è dietro alla produzione di questo vino. Gradazione alcolica sui 13%vol. e reperibilità (se lo volete direttamente a casa senza troppo cercare in giro) presso Avionblu.

A voi la scelta, non entrerà nel top ten dei vini della vostra vita, ma merita un acquisto “intelligente” a sostegno del progetto di rivalutazione di queste antiche vigne autoctone. Da oggi lo sapete, non solo mele Melinda in Val di Non, c'è anche un piccolo produttore di vino "storico" e sincero che merita la nostra attenzione.

lunedì 22 ottobre 2012

VIGNA DELLA MADRE 2010 - Barbera d'Alba superiore D.O.C. - Az. Agr. Ettore Germano

...non posso che rimarcare rispetto e stima per Sergio e la sua Barbera, tecnicamente ben fatta senza mai risultare "costruita" o poco sincera.. Terroir+vigna+vignaiolo... la cantina Ettore Germano é sul pezzo!


Secondo stappato per la rubrica Passaggi Etilici in collaborazione con Avionblu... ecco a voi il vino simbolo dell'autunno (almeno per il sottoscritto), ovvero la Barbera. 

Come raccontavo nel post introduttivo di questa trilogia "Impressioni d'autunno", questo periodo dell'anno sa molto di Piemonte e visto che parliamo di Barbera d’Alba… sa molto di Langhe, terra autunnale per eccellenza.  Le ultime foglie verdi, quasi invisibili in un mare di tonalità calde e autunnali che rapiscono lo sguardo e gonfiano il cuore. Giallo, rosso, rame, ocra... per chi ama il vino é una suggestione che non ha paragoni. Si respira nell'aria un profumo langarolo, lo vedi, lo senti sulla pelle, ti entra nel naso quella sensazione unica di terra, uomini, vino, storia e cultura. Ci sono tante belle zone vitivinicole in Italia, ma le Langhe hanno un fascino e una storia che le rendono uniche. E' tutto un sali e scendi tra dolci colline, con le cascine e i borghi su in cima, a dominare un anfiteatro naturale di vigne variopinte. Nelle prime ore del mattino c’è una nebbiolina pungente e una sensazione di quiete che ti riappacifica con il mondo. Visivamente indescrivibile tanta bellezza mentre si scollina tra le varie sottozone, attraversando le innumerevoli vigne ormai vendemmiate ma cromaticamente ineccepibili. 

Queste le impressioni d'autunno nelle Langhe. E poi c’è la gente, il popolo "langarolo" che vive nel nome del vino e delle tradizioni, un popolo di contadini che amano e rispettano la loro nobile terra. Lo capisci dai loro racconti, le loro storie, osservandone i loro volti e le loro mani, il loro carattere tipicamente "piemontese". E' un popolo che tra queste colline ha fatto la resistenza e ancora oggi cerca di resistere, rimanendo ancorato alle proprie tradizioni. Forse in molti potranno contraddirmi, potranno dirmi che anche qui il vino è un grande business, che non è più come una volta ecc… ma lasciatemi la poesia e le suggestioni che questa terra mi trasmette ogni volta che la calpesto…

L'ultima cosa che mi passa per la mente quando penso alle Langhe é lo Sperss di Angelo Gaja, la cantina-capannone di Terre da Vino o l'acino futurista di Ceretto.
Questo significa ammirare e rispettare solo i langaroli intransigenti e tutti di un pezzo aggrappati al passato e alle tradizioni? Solo in parte, perché ci sono tanti viticoltori bravi, giovani ed eclettici che hanno saputo scrivere la loro personale storia nel presente, partendo e rispettando le tradizioni e la cultura vitivinicola che questo terroir ha tramandato loro da generazioni in generazioni. 

Per questo voglio elogiare un produttore a suo modo unico nella sua semplicità, nella sua capacità di essere un langarolo tradizionalista ma mai fermo o affossato nel passato, inarrestabile e mai domo, sempre pronto a mettersi in gioco ed accettare nuove sfide. Uno che sa il fatto suo, capace di intrecciare tecnica, passione e terroir... tradotto, gioia pura per il palato di ogni wine-lover. Lo chiamano il "gigante buono delle Langhe"... signore e signori ecco a voi Sergio Germano, vignaiolo in Serralunga di una cantina a conduzione familiare che porta il nome del padre Ettore. Viticoltori per tradizione e vocazione, a partire dal lontano 1856, con 6 ettari vitati sulla collina Ceretta, nel cuore del Barolo. 

Oggi con Sergio siamo alla quarta generazione, ed é proprio grazie a lui che la cantina si consolida... si acquistano nuovi appezzamenti, si lavora scrupolosamente in vigna, si punta ad una produzione di qualità e si iniziano ad ottenere i primi riconoscimenti. Come ho scritto sopra Sergio ama le sfide e non si limita alla tradizionale produzione di Serralunga (che nel frattempo é passata da 6 a 10 ettari), ma decide di investire in alta langa a Cigliè, acquistando 5 ettari destinati alla produzione di vini bianchi come Riesling Renano, Chardonnay e Pinot Nero per la produzione di spumante. Una vera e propria sfida in una terra celebre per la produzione di rossi. Sfida vinta con calma, saggezza, passione e lavoro, tanto che oggi il vino più "premiato" e decantato é nientemeno che il Riesling Herzu. Ma guai dire a Sergio Germano che i suoi bianchi "sperimentali" hanno superato i "rossi" di Serralunga! 

La scelta produttiva si basa sull'idea "borgognana" di produrre più varietà di vini molto caratteriali, partendo da piccoli appezzamenti. Un'azienda medio piccola con 15 ettari vitati e una produzione di 80.000 bottiglie, da cui si ricavano ben 15 tipologie di vino, con ben 4 cru di Barolo. Non siamo quindi al cospetto di una grande vigna, ma tanti piccoli appezzamenti, ognuno con le sue caratteristiche, i più grandi dei quali raggiungono "solo" i 2 ettari, mentre alcuni cru sono addirittura inferiori all'ettaro. 

La bottiglia che vado a stappare, ovvero una Barbera d'Alba superiore del 2010, denominata Vigna della Madre, che si contraddistingue dalla Barbera classica di Serralunga ricavata da vigne più giovani e affinata in solo acciaio. Di questa versione superiore ne vengono prodotte all'incirca 8-9.000 bottiglie l'anno, ricavate dall'uva della piccola e storica vigna di un ettaro su terreno calcareo, impiantata a Barbera nel 1978, con una resa di 63 hl/ha. La vendemmia avviene ad inizio ottobre, mentre la fermentazione ha una durata di 7-8 giorni sulle bucce e termina in piccole botti di rovere francese. L'invecchiamento proseguirà per 12 mesi, prima di concludere con 6 mesi di affinamento in bottiglia. 

Prima di raccontarvi del bevuto, voglio fare una premessa questo é un ottimo vino. Fatto veramente bene, sia da un punto di vista tecnico che emozionale. Lo voglio dire a scanso di equivoci, perché quando si parla di vini proveniente da un terroir "mito" come quello langarolo, c'è sempre chi punta il dito e storta il naso nei confronti dei vini elevati in barriques (e in parte mi ci metto dentro pure io!!). Vi dico solo di non essere prevenuti... almeno non con un sign. vignaiolo come Sergio Germano.

Andiamo... nel bicchiere é "bellissimo", fluido, pulito, elegante, un rosso rubino intenso con leggere sfumature granato. Al naso si dimostra da subito vino di bella complessità olfattiva. E' intenso e persistente con buona vena alcolica (14%vol.), senza però spingere esageratamente sull'acceleratore. Non é un vino timido ma nemmeno invasivo o "saturante" come capita con alcuni vini "alcolizzati". Qui c'è il giusto nerbo a sostenere un bouquet pieno e piacevole, dove a predominare sono le note di frutta rossa matura e sottobosco, accompagnate da sentori speziati più pungenti. In "sottofondo" ad avvolgere e addolcire il tutto, vaniglia e liquirizia. Al palato risulta asciutto e sapido, riempe bene la bocca e dimostra da subito una certa importanza. E' caldo e avvolgente, con buona struttura e corpo, una trama tannica fitta ma mai sopra le righe, il tutto equilibrato da una buona vena acida che conferisce freschezza e dinamicità. Penso sia il punto di forza di questa Barbera, ovvero un utilizzo intelligente del legno. A differenza di altri vini barricati, dove domina il legno, il muscolo e la polpa marmellatosa, qui (grazie anche alla spiccata acidità di quest'uva) la beva risulta assai piacevole e mai pesante, quasi croccante e con buona fragranza.. una bella apertura quindi, verso un finale fresco con un ricco e dolce retrogusto che richiama le sensazioni olfattive del naso. 

Un gran bel vino, nel suo essere semplice ma al contempo ben articolato... qui ci sono tutte le caratteristiche che si vanno a cercare in un buon vino, ma senza strafare.. un po' di tutto ma ben bilanciato. Forse, giusto per fare il bastian contrario e trovare il classico "pelo nell'uovo", da un vino "del popolo" come é sempre stata la Barbera (quello che si comprava in damigiana quando ero ragazzino...), questa "Vigna della Madre" é una versione quasi troppo ben fatta, perché da una Barbera ti aspetti sempre un tocco di rusticità e ruvidezza. E' più una suggestione personale che una critica... non dimentichiamo che siamo al cospetto di una signora Barbera d'Alba superiore elevata in barriques da 16 euro... quindi credo sia doveroso scegliere questo vino proprio perché ne rappresenta l'espressione più nobile ed elegante del vitigno.
 
Per concludere il vino  vale il prezzo del biglietto.. poi su queste cifre ci sono un sacco di vini in alternativa, quindi va a gusto personale la scelta della boccia giusta. Quindi il vino mi é piaciuto e mi aspetto ulteriori interessanti sviluppi in futuro, trattandosi di un vino con buona struttura e longevità. 

Nel consigliarvi un abbinamento gastronomico classico ( per me barbera=risotto con i funghi) vi rimando all'ascolto di un rock classico e tendente al folk, giusto per non alzare troppo il volume e rimanere in pace con il paesaggio langarolo, ecco... un songwriter come fù Elliott Smith potrebbe starci bene. In attesa di assaggiare i suoi "sperimentali" bianchi, non posso che rimarcare rispetto e stima per Sergio e la sua Barbera, tecnicamente ben fatta senza mai risultare "costruita" o poco sincera.. Terroir+vigna+vignaiolo... la cantina Ettore Germano é sul pezzo!

lunedì 15 ottobre 2012

COSTA DEL VENTO 2010 - Timorasso - Vigneti Massa

...Un tradizionalista-reazionario. Carismatico e passionale, un po' genio e sregolatezza, é lui l'uomo del rinascimento dei colli Tortonesi. Un vignerons vero senza compromessi. Quindi per associazione di idee se mi dici Timorasso... ti rispondo Walter Massa!!



Esiste una ristretta cerchia di produttori che rappresentano una garanzia per il consumatore. Bottiglie che compreresti a scatola chiusa, bottiglie che compri senza neanche stare a guardare il prezzo (se puoi permetterti di non guardare il prezzo ovvio… ma anche i meno “possibilisti” per queste bottiglie, uno strappo alla regola lo fanno...), basta nominare il produttore e sei sicuro di ritrovarti in cantina un grande vino, anche nelle annate meno convincenti non ti deluderà. Basta saperlo aspettare, prima o poi il suo carattere verrà fuori. 
Sto parlando di vignaioli che hanno saputo diventare un punto di riferimento indiscutibile per una determinata tipologia di vini. Se facciamo il gioco delle "associazioni di idee" in campo enologico, ecco che ti dico Bartolo (e oggi Teresa) Mascarello o Beppe Rinaldi, appena sento dire Barolo, se mi dici Brunello, tac, in automatico dico Biondi Santi, per l’Amarone della Valpolicella dico Quintarelli etc…etc… Tre nomi scritti di getto, i primi che mi sono venuti in mente. Provate voi adesso ad aggiungerne altri… pensate a uomini e cantine, diventate l’emblema di un vitigno… che hanno saputo guadagnarsi rispetto e stima (anche internazionale), perché sono loro i primi a nutrine per quel vitigno, quel terroir e la sua storia. Rendere grande un vino, finire sulle guide di mezzo mondo, rimanendo sempre fedeli a se stessi e alla propria idea “culturale” di vino. Non hanno bisogno di farsi pubblicità o inventarsi strane diavolerie (tipo blend super-qualcosa) per attirare l’attenzione e aumentare i fatturati… per loro parla la storia, il rispetto guadagnato sul campo, la devozione degli appassionati, le emozioni che riescono a trasmetterci con un bicchiere di vino. Vignaioli eretti a simbolo di una cultura vinicola di cui ne sono coraggiosamente custodi.

Ecco a voler aggiungere qualche nome ai 3 menzionati sopra, sicuramente ci metto il sign. Walter Massa, forse meno "famoso" e vignaiolo di un terroir meno nobile e rinomato rispetto alle Langhe, Montalcino ecc..., ma che sicuramente é custode della tradizione e delle cultura vinicola del suo territorio (i colli Tortonesi), fino a diventare il produttore simbolo di un vitigno storico e straordinario come il Timorasso, realizzando un vino di altissimo livello, che nel corso degli anni ha saputo guadagnarsi la stima e il rispetto degli appassionati di mezzo mondo. I suoi vini bianchi non sfigurano al fianco dei grandi produttori di Borgogna, sono elogiati dalle guide e decantati dagli eno-critici, siano essi tradizionalisti tutti d’un pezzo, o amanti dei vini più moderni. Una cosa è certa… di fronte ad una bottiglia di Timorasso dei vigneti Massa si è tutti d’accordo. Come é riportato in etichetta.. "un territorio, un vino, un vitigno" e io ci aggiungo "un vignaiolo", perché senza il passionale e coraggioso lavoro di Walter, probabilmente oggi non saremo qui a parlare del Timorasso. Un tradizionalista-reazionario. Carismatico e passionale, un po' genio e sregolatezza, é lui l'uomo del rinascimento dei colli Tortonesi. Un vignerons vero senza compromessi. Quindi per associazione di idee se mi dici Timorasso... ti rispondo Walter Massa!!

Ecco a questo punto caro amico lettore, hai 2 possibilità: 
A) Spendere altri 5 minuti del tuo prezioso tempo e leggerti tutto quello che scriverò su questo "numero uno" dei colli Tortonesi. Ne vale la pena se non conosci questo produttore e il suo Timorasso.
B) Tieni stretto il tuo prezioso tempo, grazie per l’attenzione e arrivederci. Walter Massa lo conosci bene e sai tutto sul suo Timorasso. O magari non sai nulla, ma ti è bastato scoprire che produce un bianco “made in Italy” che se la gioca alla pari con i più importanti bianchi di Borgogna e Alsazia per convincerti che questo è un vino da provare almeno una volta nella vita.

Per tutti quelli che hanno scelto la proposta A ecco un veloce riassunto sulla storia dei vigneti Massa, così capirete perché Walter Massa e Timorasso sono due nomi imprescindibili. La famiglia Massa coltiva la vite in quel di Monleale dalla fine dell'ottocento, la svolta però ha inizio sul finire degli anni '70 con l'arrivo di Walter ai comandi. Terra di classici rossi come Barbera e Croatina, fin dall'antichità esiste anche un'autoctona uva bianca chiamata Timorasso, poco considerata dai viticoltori locali, alla quale hanno preferito il Cortese, altro vitigno a bacca bianca tipico di queste zona. A metà degli anni 80 il Timorasso é in via di estinzione, si conta giusto un ettaro vitato con questa tipologia di uva, contando anche le vigne incustodite e le piante dei giardini privati.

E' qui che entra in gioco Walter. Crede nel Timorasso, é convinto che sia un' uva dal grande potenziale. Con grande testardaggine inizia a coltivarla e a fare esperimenti in cantina, ottenendo i primi risultati incoraggianti. Il punto di svolta nel 1996, quando Walter passa alla macerazione sulle fecce nobili per periodi piuttosto lunghi, tecnica già adottata da alcuni viticoltori friulani, che permette al Timorasso di esprimersi al meglio. Da allora ad oggi é un susseguirsi di successi e attestati di stima. Si passa da 1.5 ettari di vigneto a Timorasso agli attuali 9, mentre in tutta l'area dei colli Tortonesi si arriva ad un totale di circa 50 ettari e una trentina scarsa di produttori. In totale sommando anche i rossi, ai Vigneti Massa si coltivano 22 ettari di vigna per una produzione di circa 100.000 bottiglie.
Il Timorasso, che come avete capito, é l'emblema di questa cantina, viene prodotto in 3 versioni, il Derthona (che potremmo definire il Timorasso base di Massa), e due versioni cru come il Derthona Sterpi e il Derthona Costa del Vento, il primo ad essere commercializzato e prodotto in sole 2.000 unità. Il vino che vado ad assaggiare é proprio il Costa del Vento 2010. Realizzato con uve Timorasso in purezza vendemmiate da una vigna di 2 ettari su suolo argilloso-calcareo, con una resa di circa 70 ql/ha.

La caratteristica che contraddistingue i vini di Walter é la scelta di puntare su una lunga fase di macerazione sulle bucce (circa un anno), seguita da altri 12 mesi di affinamento direttamente in bottiglia. Ne deriva un vino unico e con un grande potenziale di invecchiamento. Come i grandi bianchi di Borgogna, il Costa del Vento non si offende se viene dimenticato in cantina.

Prima indicazione da non sottovalutare è l’annata. Come ho scritto questo vino non fa legno e l’affinamento in bottiglia gioca un ruolo importante nella fase di maturazione. E’ un vino di grandissima longevità che meriterebbe di essere stappato non prima dei 4 o 5 anni. Io invece vado ad assaggiare l’ultima annata, quindi non ancora pronto al 100%. Fatta la dovuta precisazione sulla giovane età di questa bottiglia, ecco cosa mi sono ritrovato nel bicchiere.

Alla vista già notiamo la "diversità" di questo vino. Un giallo oro di rara brillantezza e luminosità. Fluido, pulito, tecnicamente ineccepibile. Al naso é come prendere tutti i sentori e gli aromi tipici dei vini bianchi, frullarli insieme, et voilà... un incredibile bouquet che sa essere esplosivo ed intenso, di grande persistenza ma al contempo qualitativamente fine, mai aggressivo, in grado di sfoggiare una gamma olfattiva variegata e ricca di sfaccettature. E' salino e minerale, con la frutta in secondo piano, dove a spiccare sono le note più pungenti di limone e mela verde. Non mancano i sentori erbaceo-floreali, ma soprattutto una più calda e coinvolgente sensazione mielosa. Un naso in continua progressione, che ad ogni "sniffata" sa regalare nuove sensazioni aromatiche. Esuberante e dinamico, complesso ed emozionante. Da notare la grande potenza alcolica di questo vino (14.5%vol.), in grado di sostenere il bouquet lavorando sottotraccia, senza mai pungere o saturare. Al palato prosegue quanto iniziato al naso, attacca minerale e sapido, un bel sapore amarognolo che dona freschezza, prima di "ingrassare" ed esplodere croccante e polposo, dolce e caldo, denso e concentrato. Ci abbandonerà lentamente con retrogusto di mandorle tra il dolce e l'amarognolo.

Corpo e grande struttura. L'unico appunto fattibile é dovuto alla giovane età di questa bottiglia. Come ho scritto sopra deve maturare e attualmente risulta ancora un po' scomposto, leggermente nervoso. Ma il bello é anche provarlo giovane e scoprire quanto sia già incredibilmente amabile e godibile. Quasi emoziona immaginare l'evoluzione futura di questo Costa del Vento. Personalmente sono un amante dei bianchi leggeri, freschi, beverini, estivi e ben adattabili ad una funzione alimentare. Ma per la prima volta anche al cospetto di un vino così strutturato, ricco e "autunnale", la beva é risultata incredibilmente piacevole e mai austera.

Impressiona ancora una volta questo vitigno (avevo già parlato con entusiasmo del Timorasso San Vito dei compagni di Valli Unite) capace di dare grandi risultati, ma impressiona altrettanto la capacità di Walter Massa nel regalarci un vino degno rappresentante del carattere "esuberante" e "tenace" del suo vignaiolo. 
Che altro aggiungere, fate l’investimento perché ne vale la pena. Il prezzo di questo cru Costa del Vento è piuttosto impegnativo, siamo sulle 35 euro, che per un bianco non è poco. Comunque li vale tutti, dovete solo avere la pazienza di saperlo aspettare qualche annetto. Diciamo quindi che si tratta di un investimento per il futuro, oppure se proprio non resistete o non avete possibilità di conservare il vino a lungo in un luogo idoneo, provate a recuperare qualche annata più vecchia.

A differenza dei bianchi più beverini, che spesso utilizziamo in abbinata al pesce, il Timorasso per struttura e carattere è un vino che ben si sposa con i sapori più rustici dell’autunno. Formaggi anche saporiti, carni bianche agli aromi ecc…

Musicalmente pensando al vino e al suo produttore mi vengono in mente i Dinosaur Jr. Anche loro arrivano dalla metà degli anni 80 from Massachusetts, con un sound che sa regalarci ballate indie-rock che prendono il cuore e pezzi più sonici e trascinanti. J. Mascis ne é il mentore, con quel timbro vocale un po’ stonato e un po’ scazzato, ma in grado di disegnare melodie accattivanti e mai banali. Ecco un nerd, uno che non se la tira, ma che ci regala alcune tra le più “bellissime” perle dell’indie rock americano. Un po’ come il nostro scapigliato Walter, che da un terroir un po’ nerd, riesce a tirar fuori delle gemme senza paragoni, vini che hanno cuore e grinta come le songs dei dinosauri.

Un vino che non si discute, un uomo che è vignaiolo nel dna. Uno di quei vini da provare almeno una volta nella vita mentre ascoltate Where you been dei Dinosaur Jr. Fatte attenzione però... troppe emozioni tutte insieme potrebbero essere pericolose.

giovedì 11 ottobre 2012

PRIMA SOMMINISTRAZIONE… IMPRESSIONI D’AUTUNNO…

PASSAGGI ETILICI… Eno-racconti ad alta gradazione alcolica.

Abito nelle Prealpi varesine. 354 m.s.l.m. una decina di chilometri a nord della grande pianura e una dozzina a sud dalle valli e comunità montane che si snodano dalla città di Varese fino al confine svizzero. 
Siamo ad inizio Ottobre e la gente inizia a rinchiudersi in casa. E’ una fase di down… le ferie sono finite per tutti, si rimettono in moto le fabbrichette e si riattiva il popolo delle partita i.v.a.  Il fervore estivo fatto di pomeriggi al lago,  pic-nic al Ticino e serate in allegra compagnia tra griglie arroventate è ormai un lontano ricordo, e l’autunno entra dolcemente nelle nostre esistenze accompagnandoci verso il rigido e nebbioso inverno padano-prealpino. Ce ne stiamo così… immobili e rassegnati… mentre alla tv  un giornalista ci rifila una “presunta” notizia che vale la prima pagina di un “presunto” telegiornale…  Immagini ed interviste ci ricordano che le spiagge siciliane sono ancora affollate. Ecco i qualunquisti commenti di invidia per i nostri abbronzati connazionali del sud, che possono ancora godere dell’estate e ci sembrano le persone più fortunate del mondo, che vivere li… sia molto più figo che vivere qui. 

E’ vero, in questo periodo manca un po’ di “vibra”, ma vuoi mettere le bellezze dell’autunno che sta arrivando? Oilà, dico a te, che ti intristisci tra il bar e Sky? Hai mai provato a farti un week-end nelle Langhe in autunno? Vabbè non sai neanche dove e cosa sono le Langhe… sei persona da spritz all’aperitivo… ok… ma sono convinto che molti altri, come me sanno che questo è un periodo dell’anno speciale e ricco di emozioni. 

Il profumo delle foglie umide durante una camminata nei boschi, il sole “che ancora scalda” le ultime mangiate all’aria aperta, i colori “caldi” delle vigne, con le suggestioni cromatiche dal verde, all’ocra, al rosso, che rapiscono la sguardo e gonfiano il cuore.  E’ l’autunno delle osterie che vanno a riempirsi, dei fumanti cartocci di caldarroste e del nazional-popolare rito della sagra paesana, per alzare un calice in compagnia senza distinzione di età e classe sociale. E’ un autunno rosso, perché questo è il colore predominante. 

Fosse per me ad Ottobre mi trasferirei dall’altra parte del lago Maggiore, in quel Piemonte che rappresenta l’emblema dell’autunno. Dall’alto Piemonte al Monferrato, i colli Tortonesi e le Langhe, è tutto uno scoppiare di colori e suggestioni, mentre si consuma e si rende omaggio al centenario rito della vendemmia. E’ un periodo di convivialità, dove il vino fa da collante, riprendendosi il suo ruolo alimentare e culturale. E’ il periodo del lavoro contadino, dell’uva vendemmiata e calpestata da sapienti e dinamici piedi, è il rito e il simbolo dell’unione tra l’uomo e la terra, è il frutto di una scelta di vita e di una tradizione da portare avanti. E’ il vino che sa smarcarsi dalle guide e dalle classifiche, che esce dai salotti buoni e torna nella strade e nelle piazze, che sa essere sociale e popolare quasi politico… è l’autunno partigiano di Alba liberata il 10 ottobre del 1944, è l’autunno caldo dei metalmeccanici della Fiat. Questo è un periodo di anima e cuore, di colore e calore, di passione e condivisione.  

Non so se ci avete mai pensato quando stappate una bottiglia,  ma un buon vino deve racchiudere tutto questo, ma soprattutto deve essere l’espressione dell’imprescindibile connubio tra la vigna e il suo viticoltore.
 
Per questo motivo ho scelto di iniziare PassaggiEtilici con il racconto di 3 vini e dei suoi viticoltori. 3 bottiglie scelte dal catologo di Avionblu, che ben si sposano con l’idea di autunno, ma che sono soprattutto la storia di 3 “vignerons”. 3 produttori veri, 3 “personaggi” se mi passate il termine… persone che hanno un forte legame con la vigna e la loro terra, vignaioli di tradizione, ma non “tradizionalisti” a tutti i costi… 3 contadini eclettici nel reinterpretare la tradizione, che hanno saputo ripartire, rigenerarsi, mettersi in gioco e rischiare. Hanno voluto ridare vita e lustro a vigne ormai perdute, riportare all’attenzione degli appassionati e della critica, vini quasi scomparsi o su cui nessuno avrebbe più scommesso un centesimo. Due piemontesi e un trentino, due vini rossi e un bianco… tre produttori molto apprezzati… parleremo di loro e dei loro vini che andrò ad assaggiare… sperando di trovare (e magari consigliarvi) il giusto vino con l’autunno dentro.


Sono riuscito ad incuriosirvi almeno un po’? Fuori i nomi? Allora vi anticipo qualcosa… si parte con un bianco, non uno estivo da abbinare all' impepata di cozze mentre siete in vacanza al mare. Vi parlo di un bianco strutturato e longevo, prodotto dall’uomo che è l’emblema del Timorasso. Dai colli tortonesi ecco Walter Massa, esplosivo produttore che ha ridato vita e gloria a questo autoctono vitigno. Un grande bianco per l’autunno appena iniziato. Con l'abbassarsi delle temperature si iniziano ad accantonare i bianchi "estivi" e stappare grandi quantità di rossi. Ne assaggerò due e anche in questo caso parto da un produttore che ha avuto il coraggio di salvare un vitigno autoctono dall’oblio. Sto parlando di Augusto Zadra detto "El Zeremia" e delle sue centenarie vigne di  Groppello. Per concludere ecco il vino simbolo dell'autunno...(almeno per il sottoscritto che ama abbinarla al risotto con i porcini, o con l'ossobuco) la Barbera. Stapperò quella prodotta da Sergio Germano, “il gigante buono”, un tradizionalista langarolo mai domo, eclettico al punto tale, che tra i grandi cru di Serralunga, lui riesce a guadagnarsi “bicchieri” e “chiocciole” con un riesling! 

Rimanete sintonizzati ne leggerete delle belle....e se troverete questi vini interessanti.... sapete dove trovarli. (clicca qui)

martedì 9 ottobre 2012

PASSAGGI ETILICI…. Eno-racconti ad alta gradazione alcolica.



Nei prossimi giorni prenderà forma la collaborazione tra il blog SimodiVino e l'enoteca Avionblu,  con una rubrica tematica in cui sceglierò e racconterò per voi alcuni vini presenti nel catalogo Avionblu. Senza trucco e senza imbroglio... ecco per voi Passaggi Etilici.





PASSAGGI ETILICI….
Eno-racconti ad alta gradazione alcolica.
 
Inizia, più o meno ufficialmente, la collaborazione tra SimodiVino (racconti di eno-esperienze) e Avionblu, con questa piccola e spero interessante rubrica dal titolo Passaggi Etilici… eno-racconti ad alta gradazione alcolica!! 
“Salve, mi occupo del marketing della cantina xxxx, che ne dice di inserire nel suo blog scritti e banner pubblicitari da noi inviati? In cambio daremo visibilità al suo blog sui nostri siti… bla, bla, bla…”. Queste sono le collaborazioni poco collaborative che spesso vengono proposte a SimodiVino e che prontamente rispedisco al mittente… “no grazie SimodiVino è un blog autogestito dal sottoscritto, indipendente, libero e senza pubblicità, ne gratuita ne a pagamento”… Scrivo di vino nel tempo libero perché sono un appassionato “assetato” e il blog è un mezzo libero per condividere le esperienze e le opinioni ... ad esagerare posso aspettarmi è un grazie, un apprezzamento, al massimo qualche invito o qualche bottiglia omaggio…  

Un bel giorno mi arriva la proposta da Andrea di Avionblu… è andata più o meno così…
A: - che ne dici di scrivere delle recensioni per la mia enoteca on-line?
S: - totale indipendenza e libertà di scrittura o devo scrivere bene perché devi vendere i vini ?
A: -  scegli i vini, io te li mando e tu scrivi quello che vuoi anche che non ti sono piaciuti.
Così mi piace… uno scambio alla pari, virtuale stretta di mano via mail.. e si parte…

Rimanete sintonizzati... dopo la prima somministrazione  dedicata a 3 vini "autunnali", prossimamente proverò 3 vini coltivati con metodo biodinamico per il pranzo di Natale. Un modo per essere naturali e originali, se vogliamo "alla moda" ma al contempo tradizionalisti, in certi casi quasi estremi.. e incuriosire gli ospiti. Un modo per discutere di vino anche a Natale... adios prosecchino...
Se poi volete provarli... sapete dove trovarli...
Stay Tuned

giovedì 4 ottobre 2012

FURTARELLO 2008 - Rosso Piceno D.O.C. - Az. Agr. Croce del Moro

...Vino scuro e potente... adatto per darkettoni senza sentimentalismi... quindi scordatevi di poterlo bere con A Forest dei Cure in sottofondo.. qui ci vuole qualcosa di più teutonico e industrial, stile Einstürzende Neubauten.


Questo è il giudizio espresso da Luca Maroni su questo Rosso Piceno "Furtarello". 
<<Tonicità che reca intensità e vivacità ad un volume tanto maestoso, violaceità che è vita di oggi e futuro per un bagaglio di frutto tanto ricco e sì morbidamente maturo. A compiere e far tendere all'eccellenza il suo complessivo valore, l'integrità enologica d'esecuzione: pulizia e definizione che donano ulteriore slancio al suo prugnoso, balsamico, maestoso propulsore.>>
Se un pezzo da novanta della critica enologica italiana dispensa parole così entusiasmanti, dobbiamo attenderci un grande vino…ricordatevi quindi questo giudizio…perché adesso vi dico il mio, che nel panorama della critica enologica italiana conto come il due di picche, ma sono sicuro che i pochi frequentatori di questo blog saranno in accordo più con il sottoscritto che con sign. Maroni.

Che le Marche mi piacciono un casino lo avrete già dedotto… bianco o rosso poco importa, apprezzo i vini marchigiani e stimo parecchie realtà vitivinicole (da Bucci a Fiorano, Aurora e Oasi degli Angeli ecc…). Per questo motivo se mi capita a tiro una boccia interessante di quelle zone non mi tiro indietro, anche a scatola chiusa come in questo caso, essendo la prima volta che assaggio un vino della cantina Croce del Moro.

Ci troviamo in località Croce del Moro (da qui il nome dell' azienda agricola), comune di Rosara, non distante da Cupramontana, terra eccelsa per la produzione del Verdicchio dei Castelli di Jesi. Non a caso la famiglia Cavallaro, proprietaria dell'azienda da oltre 30 anni, dedica 5 ettari di terreno su un totale di 8 destinati a vigneto, per la produzione del Verdicchio in 3 versioni classica, superiore e riserva. Il resto é invece dedicato alla produzione del Rosso Piceno, prodotto in due versioni, il Moro e il Furtarello di cui vi scrivo oggi. In totale siamo intorno alle 30-35.000 bottiglie l'anno,

Prodotto con un mix di uve (Sangiovese 15%, Merlot 15% e Montepulciano 70%) viene prodotto in circa 5000 unità, con affinamento di 4 mesi in cemento vetrificato, a cui segue un anno di maturazione in barriques e 6 mesi di riposo in bottiglia. 

Alla mescita sfoggia un rosso rubino piuttosto scuro con unghia violacea. Fitto, profondo e leggermente denso. Al naso é intenso e concentrato, persistenza con vena alcolica in bella evidenza (14%vol.). Un bouquet piuttosto chiuso e pungente che lascia poco spazio alla fantasia e a possibili evoluzioni. Predomina la frutta nera (more, prugne), ma anche note balsamiche e legno. Al palato si conferma un monolite, poco spazio all’imprevedibilità, è un blocco unico. Strutturato e di buon corpo, riesce ad esprimere calore e robustezza, con buona polpa e una trama tannica importante. Nell'insieme pulito ed equilibrato. Finale lungo e persistente con sensazioni balsamiche e sentore alcolico in evidenza. 

Nel complesso si dimostra vino ben fatto, che sa mantenere persistenza , intensità ed integrità fino all’ultimo bicchiere. Quello che viene meno è la dinamicità, la bevibilità, oltre a non offrire grandi variazioni sul tema, rimanendo un po’ fine a se stesso, nel suo voler fare la voce grossa, quasi a volerci impressionare. Personalmente preferisco vini più “fantasiosi”, magari meno spinti e carichi, ma che sanno evolvere nel bicchiere e regalarci qualche spunto in più di discussione, diciamo vini più "luminosi" rispetto a questo Furtarello, nel colore, nel bouquet e nella beva.

Probabilmente il tutto è un po’ penalizzato da un utilizzo della botte piccola che carica e fortifica il tutto anziché plasmarlo e dal taglio delle uve utilizzate, con la prevalenza del blocco Montepulciano-Merlot sul più “spigliato” Sangiovese.  Con tutto il rispetto per il Rosso Piceno, che già di suo è una tipologia di vino piuttosto scuro, concentrato e carico, rimane (anche in virtù di un prezzo non bassissimo, all’incirca 15-17 euro) un vino che non mi ha preso il cuore... e se mi permettete, viene “sverniciato” da “colleghi” meno costosi e più gustosi come le versioni di Fiorano e Aurora, giusto per fare un paio di nomi che potete trovare su SimodiVino. Se poi volgiamo lo sguardo al di fuori della regione, hai voglia quante bevute più “affascinanti” puoi farti con 17 euro in tasca!!

Domanda? Avete in mente il giudizio di Maroni che ho riportato sopra? Beh, non stiamo parlando lingue diverse, questo è il vino e le sensazioni ricavate dalla beva,  sono piuttosto in sintonia. C’è però un sostanziale scarto nel metro di giudizio, le indiscutibili caratteristiche di questo rosso sono esaltate e considerate un punto di forza dal sign. Maroni, tanto da definirlo “tendente all'eccellenza”, mentre per il sottoscritto, rappresentano il punto debole... una scelta stilistica penalizzante. Eleganza? Finezza? Originalità? Freschezza? Terroir?

Questo per farvi notare le differenze di giudizio... la soggettività nelle conclusioni… di come l’espressione (o la domanda)  “è un buon vino” abbia poco senso. Quindi prendere sempre con le pinze giudizi e recensioni, almeno che abbiate fiducia, rispetto e stima della persona che esprime il giudizio. 

Giudizio conclusivo tendente alla sufficienza... é sicuramente ben fatto e potrà darvi soddisfazioni anche in futuro, magari migliorando e perdendo un po' di austerità... ma non mi é piaciuta la scelta stilistica di Croce del Moro. Vino scuro e potente... adatto per darkettoni senza sentimentalismi... quindi scordatevi di poterlo bere con A Forest dei Cure in sottofondo.. qui ci vuole qualcosa di più teutonico e industrial, stile Einstürzende Neubauten.

lunedì 1 ottobre 2012

TAURASI "LE SURTE" 2002 - D.O.C.G. - Macchialupa



...é come quando nei concerti live si continua ad alzare il volume di ogni singolo strumento per "farlo uscire fuori", anziché abbassare quelli che tendono a sovrastare gli altri. Conclusione... si satura il tutto, il suono non esce pulito e risulta un gran fracasso. Ho reso l'idea? Ecco questo é un vino che ha una bella complessità, un bel insieme di sensazioni gusto-olfattive, ma tendono tutte verso l'alto, quasi a volerci impressionare. 

 
Iniziamo dalla fine, ovvero dai ringraziamenti per il mio socio Franky che mi ha omaggiato con questa bottiglia. Un Taurasi del 2002 credo sia regalo assai gradito a tutti gli amanti del buon bere, anche se, in tutta onesta, stappo solo oggi il Taurasi di questo produttore. 

Come molti di voi ben sanno, il Taurasi é principalmente prodotto da uve di Aglianico (con possibile aggiunta di altre uve rosse della zona fino ad un massimo del 15%) coltivate nei comuni designati dalla disciplinare, tutti in provincia di Avellino. Nella fattispecie la cantina Macchialupa si trova a San Pietro Irpino di Chianche, nella Valle del Sabato, al confine tra le prov. di Avellino e Benevento. Questa é terra di grande tradizione vinicola, da cui si ricavano due tra i più famosi bianchi del sud, come il Fiano e il Greco di Tufo, oltre ovviamente al Tuarasi di cui vi scrivo.  

Macchialupa é una piccola azienda fondata nel 2001 da Giuseppe Ferrara (proprietario) e l’enologo Angelo Valentino, costituita da circa 16 ettari vitati e 120.000 bottiglie prodotte l'anno.Circa il 60% delle uve vengono acquistate, mentre il restante 40% proviene da vigneti di proprietà che sorgono a 450 metri di altitudine con esposizione sud-est  su terreni composti da tufo e argilla. Possiamo quindi affermare che si tratta di un'azienda vitivinicola relativamente giovane, ma che ha saputo bruciare le tappe e porsi all'attenzione della critica eno-gastronomica, grazie anche ad una particolare cura dei vigneti, con concimazioni naturali, l'assenza di agenti chimici per il diserbo e l'utilizzo di lieviti indigeni e selezionati. 

Oggi assaggio il loro Taurasi, uno dei migliori vini rossi del sud d'Italia, ma probabilmente sono i freschi e minerali Greco e Fiano i vini meglio riusciti di Macchialupa. La produzione comprende 8 tipologie di vini, compresi i 3 della linea "Le Surte" (Taurasi, Fiano e il passito Esotica sempre da uve Fiano), che possiamo definire la linea "prestige" della cantina. Il Taurasi D.O.C.G. annata 2002, viene prodotto in circa 7.000 unità, con un prezzo medio in enoteca tra le 25-30 euro. Prodotto con uve Aglianico in purezza, la fermentazione con macerazione ha una durata di circa 18 giorni, con rimontaggi giornalieri. L'affinamento avviene in barriques di rovere francese per 12 mesi (solo in parte nuove), a cui seguono 24 mesi in bottiglia. 

Di colore rosso rubino intenso con unghia granata, profondo, leggermente denso, visivamente elegante. Al naso é esplosivo, con un bouquet variegato ed etereo. Vinoso e persistente, esprime una marcata vena alcolica (13.5%vol.) a sostegno dei profumi fruttati (sottobosco rosso e nero) e delle note speziate. Sono proprio quest'ultime a colpire maggiormente, un naso pungente e pepato, complesso, con richiami floreali, ma soprattutto pepe, cannella, menta peperita, tabacco, vaniglia. Alla beva é secco e caldo, persistente ed intenso, ha grande struttura e una trama tannica serrata. Riempe bene la bocca, avvolge e scalda, se ne apprezza polpa e rotondità, ma anche una buona mineralità e acidità che lo rendono fluido e scorrevole, verso un finale lungo e pungente, saturato da una costante sensazione "alcolica" che sovrasta il retrogusto fruttato-speziato. 

Nel complesso un vino più che soddisfacente, ha lo stile e la struttura del "sign. vino", ma é come se volesse "stupirci" eccedendo in "carica agonistica", perdendo in equilibrio, eleganza e piacevolezza di beva. Non so se siete esperti di sound-check, ma giusto per fare un paragone eno-musicale (che tanto mi piace) é come quando nei concerti live si continua ad alzare il volume di ogni singolo strumento per "farlo uscire fuori", anziché abbassare quelli che tendono a sovrastare gli altri. Conclusione... si satura il tutto, il suono non esce pulito e risulta un gran fracasso. Ho reso l'idea? Ecco questo é un vino che ha una bella complessità, un bel insieme di sensazioni gusto-olfattive, ma tendono tutte verso l'alto, quasi a volerci impressionare. 

Comunque rimane un buon Taurasi, una buona dimostrazione del carattere importante e della complessità di questa tipologia di vino. Da abbinare sicuramente a piatti rustici e saporiti. Nota dolente (non per me, essendo un regalo) rimane il prezzo, carico come il vino che ho appena assaggiato. Non che trenta euro sia un prezzo scandaloso, anzi diciamo che é il prezzo di mercato per un Taurasi "importante", ma in rapporto qualità/prezzo e a titolo puramente personale, consiglierei a chi vuol provare un sign. Taurasi il Nero Nè de Il Cancelliere o l'Opera Mia della Tenuta Cavalier Pepe, vini ottimi sulle 20 euro... se poi volete proprio esagerare, la mono-etichetta di Luigi Tecce, il Pholiphemo rimane un vino che non teme confronti. 

Rimane un vinone, ma non dimenticatevi di mettere nel lettore cd qualcosa dei System of a Down e di essere in buona forma... "robba" per stomaci forti!!

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...una fusione eno-culturale vincente, un vino che intriga, incuriosisce e si lascia amare, un vino del sole e della gioia, della bellezza territoriale e popolare che accomuna Spagna e Sicilia.

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Conosco e bevo "Castello Conti" da alcuni anni, e provo una profonda ammirazione per i loro vini e per il lavoro "senza trucchi" di Elena e Paola. Da una recente visita con degustazione presso la loro cantina di Maggiora, é nata una sorta di collaborazione appassionata, che mi ha permesso di gustare l'intera produzione di rossi del Castello, che oggi in questo mega-post ho il piacere di raccontarvi alla mia maniera...

ACQUISTI IN CANTINA... A VOLTE I CONTI NON TORNANO !!

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da "Le vie del vino" di Jonathan Nossiter... < - In cantina questo Volnay, che qui é a 68 euro, ne costa più o meno 25. Quindi non sono i De Montille ad arricchirsi. Ma quando arriva a Parigi o a New York, il vino costa almeno il doppio che dal produttore. - Quindi per noi che abitiamo in Francia val la pena di andare a comprare direttamente da lui. - Si in un certo senso, il ruolo dell'enoteca in città è quello di aprirti le porte per farti scoprire il tuo gusto personale, e di esserti utile quando hai bisogno di qualcosa rapidamente. Poi spetta a te stabilire una relazione diretta con il produttore >

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!
...Anche se sono un po’ più giovane e indosso il parka con le pins non significa che entro per mettermi sotto il giubbotto le bottiglie di Petrus fiore all’occhiello della vostra enoteca, quindi evitate di allungare il collo o sguinzagliarmi alle spalle un commesso ogni volta che giro dietro allo scaffale.